Cos'è che li fa MUoverE ?

Chi avrebbe detto che una attività così semplice e spontanea - si cammina prima ancora di connettere verbo- poteva determinare una occasione di aggregazione, il ricostituirsi di antiche frequentazioni,risvegliare la voglia di stare insieme e condividere le emozioni di piccole avventure.Eppure guardateli con gli zaini in spalla ripieni di sorprese, attrezzature più o meno consone alla bisogna - animati da spirito di conoscenza, inerpicarsi per boschi e pendii alla scoperta del mondo che li circonda.

Ed allora ci si chiede cos'è che li spinge ad andare ed andare ed andare, cosa cercano, quali le motivazioni.Come al solito è meglio non porsi mai troppe domande:le risposte potrebbero essere deludenti banali scontate.....volgari! Lasciamoli camminare....Non ci interessa dove e perché.

Ci preme che vadano, che vadano ma che vadano pure a...Ecco, appunto!

Brahamana V sec. a.c - Indra esorta Rohita

Non c'è felicità per chi non viaggia, Rohita!
A forza di stare nella società degli uomini,
Anche il migliore di loro si perde.
Mettiti in viaggio.

I piedi del viandante diventano fiori,
la sua anima cresce e dà frutti,
ed i suoi vizi son lavati via dalla fatica del viaggiare.
La sorte di chi sta fermo non si muove.
Allora vai, viaggia, Rohita!
Indra esorta Rohita - (dai Brahamana V Sec. a.c.)

giovedì 2 febbraio 2017

Il nostro viaggio in Africa - 6°

5 Giugno 2014

L'incredibile situazione in cui ci siamo trovati, esclusivamente per colpa mia, non deve distoglierci dal godere
dell'opportunità che abbiamo di vedere gli animali liberi nel loro habitat naturale.

La tappa di oggi, la prima, sarebbe dovuta essere il Parco del Lago Manyara.

Michael è un ragazzo bravo e disponibile.Avrà una trentina d'anni, alto e robusto con una bella faccia larga
occhi grandi ed un sorriso che ispirano fiducia. E' sposato con tre figli. Vive ad Arusha dove è qualche anno che fa la guida per il safari sia direttamente che per conto di agenzie; non si è mai trovato in situazioni come la nostra, ma dà la responsabilità a Barnaba di cui non sembra avere una buona opinione.

Risolta, chissà come, la questione con la polizia riprendiamo la strada per il Lake Manyara, che dista da Arusha oltre 100Kmm . E' ora di consumare il pranzo previsto nel pacchetto. Infatti il pranzo è un...pacchetto!
Ci fermiamo in un'area attrezzata con resort al lato della strada ai margini di un piccolo bosco con grandi alberi, Michael pure. Francesca grazie alla tachipirina si sta riprendendo e comincia a godere della giornata calda e assolata. Lungo il percorso in una ampia radura polverosa si sta svolgendo un tipico mercato Masai: con la merce esposta in terra  una moltitudine di uomini e donne nella tipica tenuta si raggruppano vocianti attorno alle mercanzie. Michael, ritenendo che fossimo interessati ad acquistare, ci fa scendere: subito siamo investiti da donne che festose ci mostrano amuleti e collanine: Mi ritraggo quasi timoroso: non devo acquistare e opporre continuamente un diniego mi pare stupido; inoltre ribadisco di non trovare niente di folcloristico, piuttosto una gazzarra ad uso e consumo dei "buana"! Vale comunque qualche foto.

Arriviamo al parco che è ormai pomeriggio quindi la nostra visita sarà per forza ridotta

Il Lake Manyara è un Parco Nazionale caratterizzato da un ampia zona umida con alberi secolari di tipo diverso, per lo più acacie : Quello è un Tamarindo! esclama ad un tratto Michael che parla ovviamente in Inglese con Francesca: sta cercando di farci dimenticare la brutta mattinata e ci porta in giro con la sua jeep per il parco indicandoci di volta in volta gli animali che incrociamo, per lo più volatili . Il parco ne ospita moltissimi  ma è famoso soprattutto per i leoni che si arrampicano sugli alberi, cosa che solitamente non fanno. Ma ovviamente è difficilissimo riuscire a vederli . Per noi invece ecco una scimmietta che pende con un braccio da un albero, ce n'è un 'altra: cerco di fare qualche foto ma vengono tutte mosse. Stiamo infatti attraversando una profonda fossa colma d'acqua, residuo delle piogge dei giorni scorsi, proprio come in un safari vero.

Il percorso è segnato e sfocia in una ampia radura, la savana, e giù in fondo il lago: non possiamo arrivare fino a lì perchè ormai è tardi. Ci fermiamo presso un grande baobab in cui, a guisa dei film di indiani, è appeso il cranio di un bufalo. Più avanti una mandria di gnu bruca senza sosta, mentre in lontananza si vedono dei bufali e persino giraffe, dice Michael, ma il sole sta calando e la visibilità è scarsa, almeno per noi che non siamo abituati a riconoscere le sagome. Ma una cosa riusciamo a vedere: una striscia rosa e rossastra illuminata dal sole col riflesso nel lago: sono i flamingos - fenicotteri rosa - che a decine di migliaia occupano le sponde del lago in uno spettacolo davvero suggestivo che cerco invano di riprendere.
Michael ci racconta storie di leoni che cacciano gnu, ed invero di carcasse se ne vedono diverse.
Ma è già ora di tornare: sta imbrunendo ed il parco chiude.

Lungo la strada per l'albergo, dove dovremo dormire due notti, Michael ci fa vedere un' ultima volta il lago con la striscia rosa dei flamingos!  Il Jambo Lodges è  all'ingresso di un villaggio Masai:
tutta l'area dei Parchi Nazionali al confine tra Tanzania e Kenia è abitata da Masai, e ne abbiamo incontrati diversi lungo la strada, seguire o precedere il piccolo gregge di capre o mucche .
Vediamo da vicino quello che vedevamo in macchina e poi in jeep: l'asfalto si insinua come un estraneo tra  la terra rossa che a destra e a sinistra si protende fin dentro le case rettangolari, anch'esse di mattoni rossi;
la vita si svolge all'esterno, le attività commerciali, i bar, i bambini che corrono, uomini in bicicletta o con le birre in mano: l'imbrunire e la luce di lampadine bianche al neon, tutto contribuisce ad una atmosfera caotica,
all'apparenza misera ed indolente.

Il nostro Lodge è una struttura polivalente: ci si può accampare in tenda, oppure affittare roulottes, oppure, come nel nostro caso, essere ospitati in bungalow in muratura e legno piuttosto confortevoli: il nostro è costituito da una ampia camera con un letto matrimoniale e l'altro letto, soffitti alti e perfino il bagno accanto, fuori però.
Per noi è prevista la cena: una ragazza molto giovane e carina in grembiule nero ed un po' timidina, ci fa accomodare nel ristorante: cè un grande pianoforte, ma soprattutto è buio.....c'è solo una piccola luce fioca.
Prende le ordinazioni e...sparisce.
Aspettiamo pazienti, quasi al buio, ma non si vede nessuno. E' passata ormai mezz'ora e riusciamo ad avere una bottiglia d'acqua, la ragazza di prima si riaffaccia, quasi divertita e ci rassicura che sono quasi pronti.
La giornata è stata lunga e vorremmo andare a riposare. Un'altra mezz'ora e ci accontenteremo di un po' di pane; Si sente un chiacchiericcio continuo, Fra si affaccia alla cucina e tre o quattro matrone conversano amabilmente, non si scompongono alla nostra richiesta e ci riassicurano che stanno cucinando.
Ancora mezz'ora e finalmente arriva la ragazza con le pietanze.....pollo e frittata! Non sembrava ci volesse tutto quel tempo, ma per loro il tempo non è mai un problema.

Andiamo a letto, domani ci aspetta NgoroNgoro!

Sveglia presto alle sette e pronti per le otto. Michael con il suo jippone è già li .
Arriviamo presto all'ingresso del Parco Nazionale e mentre Michael va a prendere il passi  noi ci dilettiamo a fotografare una grande scimmia con dei piccoli che si aggira nel parcheggio tra le auto.
Francesca per ora sembra stare meglio e partecipa all'ilarità generata dalle movenze dei nostri simili!
La giornata è uggiosa ma in realtà, ci spiega la nostra guida, il fenomeno della fitta nebbia in cui siamo immersi è dovuto al cratere. Riporto in copia e incolla una descrizione del Parco :

" Il cratere di Ngorongoro è un cratere vulcanico situato nella pianura di Serengeti e ad est del Parco del Serengeti. L’area attorno al cratere costituisce la riserva naturale di Ngorongoro, si trova a 2200 metri sul livello del mare, misura oltre 16 chilometri di diametro e occupa in totale un’area di circa 265 chilometri quadrati. Si tratta della più grande caldera intatta del mondo. Sulla corona del cratere corre un’unica strada, sul versante meridionale. Ci sono quattro strade che collegano la corona con l’interno del cratere; il percorso richiede circa 30 minuti infuoristrada. Il cratere appartiene all’area più estesa (circa 8300 chilometriquadrati) della, Ngorongoro Conservation Area, o NCA. 
La NCA viene amministrata dalla Ngorongoro Conservation Area Authority, che è un organismo indipendente dal sistema dei parchi nazionali della Tanzania e amministra l’area in modo diverso; per esempio, all’interno dell’NCA la popolazione dei Masai può vivere e spostarsi liberamente, cosa che non avviene in nessun altro parco della Tanzania. Oltre al cratere omonimo, la riserva di Ngorongoro include due altri crateri di dimensioni minori, Olmoti ed Empakaai, nonché l’importantissimo sito archeologico delle Gole dell’Olduvai, conosciute come “culla dell’umanità”. Qui vennero rinvenuti resti di uomini primitivi risalenti a circa 1.75 milioni di anni fa e svariati fossili di animali risalenti all’età della pietra. 
Grazie alla buona piovosità, agli stagni e ai piccoli laghi e torrenti interni, alla nebbia notturna che circonda e alimenta le foreste dei pendii del vecchio vulcano, la zona è divenuta un vero e proprio ecosistema. La savana occupa la zona più interna del cratere, alternandosi a tratti di palude, macchie di acacia e zone aride semi-desertiche; al centro del cratere si trova un lago. Nel cratere la concentrazione di fauna è impressionante: si calcola che sia abitato da oltre 25000 animali di grossa taglia. L’immagine più tipica è probabilmente quella degli enormi branchi di zebre e gnu, ma nel cratere abita la gran parte delle specie tipiche della savana: elefanti, leoni, bufali, iene, sciacalli, ippopotami, babbuini, nonché alcune piuttosto rare come i rinoceronti bianchi, ultimi superstiti di una specie che nel resto della Tanzania è minacciata dall’estinzione, e i leopardi, che vivono sugli alberi della foresta pluviale che ricopre i pendii del cratere."


La nebbia in cui è avvolta la zona superiore del cratere, e che si diraderà nella tarda mattinata, rende l'atmosfera tutto intorno quasi fiabesca: scendendo, alberi enormi si animano all'improvviso davanti a noi e poi scompaiono, sotto di noi la vegetazione  fitta e variegata appare appoggiata alla nuvola, la strada è sterrata e fangosa ma procediamo spediti ; piano piano la nebbia si dirada,  gruppi di acacie abbarbicate al pendio ai lati del sentiero con i loro caratteristici grandi ombrelli aprono la vista su una vallata giallastra e Michael ci indica alcuni villaggi Masai sparsi nella savana. Non dobbiamo tardare troppo per vederceli davanti: in realtà sono dei bambini, già ben istruiti, che per farsi fotografare pretendono la mancia che in questo caso diamo volentieri: sono molto belli protetti dal freddo nelle loro tipiche coperte colorate.

Arriviamo ad un punto della discesa in cui la pendenza consiglia di distanziare il traffico: ne approfittiamo per scendere e prendere qualche foto: il panorama è grandioso. La savana si perde a vista d'occhio;   al centro del cratere staziona una fitta coltre di nebbie: è l'acqua del lago che si condensa per la differente temperatura e la rarefazione dell'aria producendo una specie di miraggio! Cominciamo a vedere gruppi di zebre isolate, caratteristici nidi appesi ad alberi di acacie., Michael ci indica per nome ogni tipo di animale, incluse le molteplici specie di volatili:, pellicani, aironi e cicogne, sono solo le più note, ma anche uccelli più piccoli coloratissimi fino ai minuscoli che in serie od isolati sono indaffarati a immergere i loro becchi più o meno lunghi negli stagni, oppure camminano indisturbati lungo le piste battute.
In lontananza sul lago si ripropone lo spettacolo della lunga macchia rosa dei flamingos.

Ma quello che più affascina è vedere migliaia di animali che, incuranti delle numerose jeep che scorazzano per le piste, trascorrono la loro esistenza liberi condividendo pacificamente l'enorme spazio che la natura gli ha messo a disposizione. Non sembrerebbe applicarsi qui il famoso proverbio africano per cui nella savana africana allo spuntar del sole se sei gazzella ......: certo noi possiamo solo immaginare come possa scatenarsi in un attimo la lotta per la sopravvivenza tra preda e predatore, ma al momento che guardiamo sembrano convivere senza grossi traumi. 
Ed allora si vedono mandrie infinite di gnu, zebre incinte che sembrano caricate da enormi borse laterali ed i loro piccoli che giovani non hanno ancora acquisito la livrea a strisce , bufali enormi con le lunghe corna arcuate e la fronte....bassa, ecco una jena che si avvicina saltellando ed una elegantissima signora struzzo che si guarda attorno col lungo collo, lì una famiglia di facoceri bassi e tozzi, il piccolino sembra quasi carino,
e gli elefanti e gli ippopotami..... Noi siamo gli intrusi e non se ne curano.

Tre situazioni per ricomprendere le tante vissute nella giornata. Un incontro ravvicinato con una famiglia di elefanti che grazie alla perizia di Michael nel posizionare la jeep abbiamo potuto quasi sfiorare. Il bagno nello stagno di un folto gruppo di ippopotami e l'ilarità generale quando uno di questi è "montato" sopra un altro 
con  naturalezza ed agilità: per fare cosa?!! L'agonia di un istrice morente che non è riuscita a salvarsi dalla follia omicida di un...quattroruote che involontariamente l'ha schiacciata.
Consumiamo il pranzo presso un laghetto dove la corrente trascina verso il centro magicamente ed impercettibilmente un isolotto alberato contornato da papere ed uccelli, mentre più in là alcuni ippopotami 
si rinfrescano con i grossi occhi socchiusi. Francesca, nonostante la febbre, non rinuncia a farsi fotografare in cima ad un albero.Il paracetamolo Le consente per qualche ora di sfebbrare 
Nel pomeriggio continuiamo il nostro giro, risalendo i fianchi del cratere da dove si gode del panorama
della caldera punteggiata dagli animali. Michael vorrebbe farci vedere i leoni, il re della savana, ma non riusciamo se non verso la fine: ne scoviamo  uno isolato lontano che fotografiamo e che attira la curiosità e l'eccitazione di altre jeep. Prima di finire il giro ci fermiamo presso un enorme BaoBab, con una cavità  grande da contenere più persone. Intorno alcune piccoli di babbuino fanno capoccella senza lasciarsi riprendere.

E' ora di rientrare. Ci fermiamo ad un viewpoint da cui si può ammirare l'enormità del parco e della savana.
Il sole sta tramontando ed è perfetto per tentare qualche foto panoramica.
La via del ritorno è quasi silenziosa: non c'è molto da dire. Siamo stanchi e negli occhi ancora lo spettacolo abbagliante della natura.Michael ci avvisa che l'indomani sulla strada del Tarangire ci fermeremo in alcuni 
negozi di artigianato locale: non è necessario acquistare, ma per lui portare dei turisti rientra nel suo business.
Fortuna si informa della Tanzanite: è una pietra che si trova solo in questi luoghi e negli ultimi anni ha acquisito un valore notevole presso le gioiellerie sia per le difficoltà di estrazione sia per la quantità limitata disponibile.

Torniamo al Lodge che è quasi buio.La cena è frugale e la integriamo con la nostra dispensa.
Nel Lodge non c'è quasi nessuno e la luce fioca dei lampioncini non favorisce lo stare fuori. 
Per qualche motivo trascorro una notte molto agitata: mi sono messo in testa che la persistenza della febbre di Fra possa dipendere da una setticemia per la frattura alla tibia mal curata. Mi prefiguro gli scenari più drammatici e la mattina presto convinco tutti che è il caso di portare Fra in un ospedale. Sono molto agitato.
Fortunatamente all'interno nella periferia della cittadina, non troppo lontano, nella foresta che attraversiamo su una strada battuta, cè proprio un ospedale gestito da occidentali. 
Questo ci rincuora ed in effetti la struttura, costituita da più corpi in cui ospita anche degenti, è in muratura 
solida e pulita: niente a che vedere con le case del villaggio nè con l'ambulatorio di Bagamojo.

Veniamo accolti da una inferrmiera grossa che inizia a compilare una scheda ed a fare domande a Fra.
Mi sembra una perdita di tempo ed un modo di scimmiottare appunto gli ospedali occidentali: sono nervoso
e non mi rendo conto dell'importanza delle procedure e soprattutto dello stato di prostrazione nervosa di Fra
che il mio comportamento non fa che acuire. Dobbiamo aspettare il dottore.
Finalmente un omino indiano in vestiti civili fa entrare Fra nel suo ambulatorio. Io la seguo.
Racconta della febbre, della Dengue non riscontrata a Dar es Salam, della mia paura della  setticemia.
La tranquillità e la lentezza ajurvedica di questo medico mi fa dubitare delle sue conoscenze: esclude la setticemia, non visita Fra ma la fa parlare, come se potesse fare una diagnosi dall'esterno, dalla postura
dalle espressioni da quello che dice e dal modo in cui lo dice, le guarda le mani. Sembra più un santone , e penso già che stiamo perdendo tempo, quando per fortuna ci annuncia che farà un esame del sangue per vedere la presenza del virus della malaria e gli altri valori.

 Mentre aspettiamo i risultati  facciamo la conoscenza della direttrice della struttura, o meglio della segretaria/moglie? del fondatore, un medico tedesco che al momento si trovava in Europa. Ci rassicura sulle abilità del medico e sulla scrupolosità degli esami. Questi arrivano dopo un pò e non rivelano niente del motivo della febbre persistente di Fra. La cura è quella che sta facendo più qualche medicinale per le infezioni (?). Siamo un pò più tranquilli almeno io e risaliamo sulla jeep.
Prima di riprendere la strada asfaltata,  Michael ci porta a vedere una fabbrica di mattoni che è proprio lì alla periferia del villaggio: uno spettacolo d'altri tempi in cui sormontati da una collina di terra rossa e di pile di mattoni anch'essi rossi sparsi per tutta l'area una manciata di uomini caricano camion oppure mettono la terra nelle forme che saranno poi cotte per diventare mattoni. Una attività  primordiale che si svolge identica sin dall'eta primitiva.
Come ci aveva preannunciato ci fermiamo in una radura al lato della strada dove fuori e all'interno di lunghi
 capannoni  sono messi in mostra maschere di legno, lance Masai, pelli e manufatti in legno, collane e collanine, tappeti e mantelli Masai. Ci sarebbe da prendere tanto ma le nostre finanze ci permettono solo un bastone levigato con una protuberanza, usato dai Masai per caccia e difesa.
Anche alla fabbrica della Tanzanite, in cui ci fermiamo più tardi,  non possiamo fare altro che ammirare i monili creati con questo splendido minerale: i prezzi non sono alla nostra portata anche se Fortuna perde una occasione unica.      

Per arrivare al parco del Tarangire impieghiamo oltre un'ora ed è già ora di pranzo quando arriviamo all'ingresso. Ci fermiamo ad un punto picnic per mangiare lo snack previsto nel tour.
C'è una scolaresca rumorosa in divisa e più sotto qualche jeep come la nostra.
Il parco è grande e verdeggiante ed iniziamo il giro...... Sono già innervosito perchè ho l'impressione di fare un banalissimo zoosafari, tuttavia ci sono le acacie ed i baobab che ci ricordano che siamo in Africa.

Le acacie sono alberi tipici delle zone tropicali e sono caratterizzati dalla forma ad ombrello del fogliame, tutta l'area ne è disseminata a costituire il panorama tipico della savana.
I BaoBab invece sono alberi che .....fanno tenerezza! La loro circonferenza è enorme ma non sono mai molto alti, anzi hanno un aspetto tozzo e quello che fa ridere è......la capigliatura: pochi rami rinsecchiti senza foglie. Dicono che sono alberi "a gambe all'aria" proprio perchè la chioma è più simile a delle radici.
Alcuni di questi hanno delle cavità in cui l'uomo può trovare riparo. Non possiamo non farci delle foto all'interno.

Il Tarangire è un fiume e nella sua area si trovano molte famiglie di elefanti ed i leoni che amano stendersi sugli alberi. E' molto difficile avvistarli, però Michael vorrebbe cercarne. Ci avventuriamo nel letto del fiume
ora in secca. Finora abbiamo visto qualche elefante isolato, e bellissime giraffe a gruppi di quattro, cinque esemplari. Le loro movenze eleganti ed il lungo collo che gli consente di ruminare le foglie degli alberi senza sforzo, sono un invito a fare foto.
All'improvviso proprio dietro il gruppo di giraffe e non lontani da loro una numerosa famiglia di elefanti si muove lentamente dondolando: ne avevamo già vista un'altra che ci aveva quasi tagliato la strada ma meno numerosa. Questa ha esemplari molto grandi ed anche qualche piccolo. Non sono lontani da noi e tentiamo di prendere qualche foto..... Continuiamo il giro alla ricerca dei leoni senza successo.

Usciamo alla fine dal parco affiancando un gregge sterminato di antilopi e gazzelle che saltano e si rincorrono.
E' l'ultima immagine dell nostro safari. Anzi no: siamo sulla lunga strada che ci riporterà ad Arusha e quasi subito dopo l'uscita del parco Michael ci dice di guardare a sinistra: sull'altro lato della strada
un gran numero di elefanti, forse un centinaio, si muovono piano a distanza. Inversione a U per permetterci di godere di questo spettacolo imprevisto: daje con le foto.

Arriviamo in albergo - lo stesso che avevamo lasciato appena due giorni fa - che è già dopo cena: il ristorante infatti è chiuso e possiamo solo prendere qualche snack.
Domattina abbiamo l'aereo per Zanzibar, e Michael , dimostrando ancora una volta la sua generosità, si è offerto di accompagnarci alla stazione del bus navetta che ci porterà all' aeroporto.

      














































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