Cos'è che li fa MUoverE ?

Chi avrebbe detto che una attività così semplice e spontanea - si cammina prima ancora di connettere verbo- poteva determinare una occasione di aggregazione, il ricostituirsi di antiche frequentazioni,risvegliare la voglia di stare insieme e condividere le emozioni di piccole avventure.Eppure guardateli con gli zaini in spalla ripieni di sorprese, attrezzature più o meno consone alla bisogna - animati da spirito di conoscenza, inerpicarsi per boschi e pendii alla scoperta del mondo che li circonda.

Ed allora ci si chiede cos'è che li spinge ad andare ed andare ed andare, cosa cercano, quali le motivazioni.Come al solito è meglio non porsi mai troppe domande:le risposte potrebbero essere deludenti banali scontate.....volgari! Lasciamoli camminare....Non ci interessa dove e perché.

Ci preme che vadano, che vadano ma che vadano pure a...Ecco, appunto!

Brahamana V sec. a.c - Indra esorta Rohita

Non c'è felicità per chi non viaggia, Rohita!
A forza di stare nella società degli uomini,
Anche il migliore di loro si perde.
Mettiti in viaggio.

I piedi del viandante diventano fiori,
la sua anima cresce e dà frutti,
ed i suoi vizi son lavati via dalla fatica del viaggiare.
La sorte di chi sta fermo non si muove.
Allora vai, viaggia, Rohita!
Indra esorta Rohita - (dai Brahamana V Sec. a.c.)

lunedì 20 febbraio 2017

Il nostro viaggio in Africa - 7 Zanzibar

8 giugno - Dopo le tensioni dei giorni scorsi, questa mattina pare svolgersi più serenamente.

Come solito la sveglia è molto presto. Prepariamo le valigie e facciamo la colazione e Michael è già lì pronto per accompagnarci come promesso: siamo stati veramente fortunati ad avere lui come guida, perchè è stato bravo a stemperare le arrabbiature e gestire la situazione di Fra. Ringraziamo e scambiamo indirizzi, non abbiamo al momento di che compensarlo adeguatamente. Saliamo sull'autobus, stranamente pieno di viaggiatori.

La strada per l'aeroporto mostra un'aspetto più moderno della cittadina di Arusha: strade molto larghe ed ai lati costruzioni moderne e ben messe. Non sembra Africa ma è un segno di come le cose stiano cambiando anche qui. Arriviamo all' aeroporto, anche questo moderno ma con la fantasia ed il gusto per i colori tipico degli africani. Dobbiamo aspettare un pò prima che sia pronto il nostro volo, oltre l'orario originariamente previsto, ma infine saliamo su un comodo 727 destinazione Zanzibar!  

Veramente il volo fa scalo a Dar Er Salam, dove ci sta aspettando un energumeno poco rassicurante.
E' l'emissario di Barnaba che, dopo una serie di conversazioni telefoniche ci accompagna - noi dietro trascinando bagagli - ad una sala d'attesa, fatiscente e d'altri tempi, da cui si accede ad una pista secondaria
dove volano piccoli aerei privati  noi siamo destinati ad uno di questi.
Sembra di vivere in un film: la sala d'attesa buia e afosa senza aria condizionata e con pochi passeggeri, la pista nel sole accecante ingombra di piccoli velivoli parcheggiati, forse a casaccio, una serie di figuri appoggiati alla porta di uscita  che scopriremo poi essere facchini e controllori. Dopo qualche mezz'ora di attesa il nostro accompagnatore ci sollecita a mettere le valigie in un carrello - verranno imbarcate - e senza check in nè altro controllo documenti ci indica il nostro volo. L'aereo un Cessna      , sembra un giocattolo! Per salire una scaletta metallica appesa, l'interno ingombro come il didietro di una macchina, otto posti più il pilota che guida col braccio di fuori, i sedili spellacchiati su cui si affonda  ....Che figata!

Stringete le cinture, si parte. L'aereo si alza leggero come un fuscello, le ruote restano di fuori, dopo un po' raggiunge la quota e la velocità di crociera. Siamo intorno ai 1000 metri ed è poco più che stare su un punto panoramico a guardare la città di sotto: immensa. L'oceano sotto di noi dal colore chiaro vicino alla costa
si inzurrisce per la profondità, si potrebbero distinguere i pesci. Poi, avvicinandoci a Zanzibar lo spettacolo degli isolotti che sembrano disegnati su un foglio, perfettamente contornati dalla corona giallastra delle spiagge e qualche spuma bianca delle onde che si infrangono.
La traversata eccitante, dura poco più di mezz'ora
E' il primo pomeriggio e siamo a Zanzibar, l'isola che evoca la giungla e gli eroi salgariani.

Attendiamo che il proprietario della casa dove saremo ospitati, grazie a Fra, ci venga a prendere.
Fortunatamente non ci fa aspettare molto: è un signore alto e distinto dall'aspetto indiano piuttosto cortese, e dopo le varie disavventure ci voleva. Percorriamo una specie di autostrada che ci introduce alla città, a prima vista
decadente: arriviamo in una grande piazza che pullula di gente e di macchine e di pullman: curiose le scolaresche in divisa che contribuiscono chiassose ed incuranti al traffico caotico.
Traversa a destra e dopo poco ci fermiamo davanti ad una specie di......baracca.
Le case sono basse i marciapiedi sterrati i portoni si alternano a esercizi commerciali. E' la nostra destinazione e non ci fa un bell'effetto. Dovremmo restare tre giorni. Saliamo al primo piano ed il nostro anfitrione ci inviata a toglierci le scarpe: in casa solo scalzi!.

Come un miracolo, aperta la porta, il salone che ci accoglie esibisce un arredamento quasi lussuoso:
La luce soffusa del pomeriggio illumina un enorme divano e due ampie poltrone di foggia occidentale che fronteggiano un' ampia vetrata corredata da tende chiare e sul davanzale teiere, vasi e soprammobili dorati e arabescati. A terra grandi piastrelle in ceramica bianca e  tappeti anch'essi di pregio, e vasi colorati in vetro sistemati con gusto, sulla sinistra la zona pranzo con un tavolo ottagonale in legno e marmo verde con al centro fissato e rialzato il tipico vassoio ruotante per la distribuzione del cibo. Un separè dovrebbe nascondere un altro divano e poltrone  in pelle nera dove si agitano davanti ad una TV a cristalli liquidi due bambini: il maschio più grandicello sta giocando ad un videogame, la bambinetta fa la scontrosa.
Insomma una piacevole sorpresa! D'altra parte Fra ha soggiornato già qui con le sue compagne e non ci avrebbe portato in un posto che non fosse stato degno.

Le stanze sono ampie: una matrimoniale ed una con due letti dove si sistemerà Fra : la famiglia si riserva una camera in fondo al corridoio - tutti e quattro insieme?.
Il nostro ospite ci lascia perchè molto indaffarato, la moglie che lavora come cuoca in un catering, dovrebbe arrivare a breve. Approfitto per salire, su indicazione di Fra, sulla terrazza che domina il quartiere.
Una distesa a perdita d'occhio di tetti in lamiera arruginita, Su tutto svetta il minareto di una bianca moschea lì vicino. Scendiamo per fare due passi mentre Fortuna si....stende.
Ci avviciniamo alla moschea: è l'ora della preghiera e molte persone entrano. Chiedo ad un ragazzo con il caffettano bianco se posso entrare ad assistere e mi chiede se sono mussulmano: no?! allora non si può entrare.
Camminare non sembrerebbe troppo igienico: le strade sono sporche ed attraversate da rivoli d'acqua, forse non sarebbe neanche troppo sicuro, perchè le case accatastate lasciano solo vicoli stretti.

Ma la solita musica ad alto volume che sentiamo poco distante è una attrazione irresistibile per noi e ci volgiamo in quella direzione.....una serie di vicoli bardati a festa con lampadine colorate e festoni
accompagnano non è chiaro se un festa di matrimonio o di quartiere...cè un'atmosfera di allegria,
una moltitudine che canta e ride e balla . Proviamo per un po' a mischiarci, ma è una impresa.
Si sta facendo buio e torniamo a casa, dove troviamo la moglie con cui Fortuna ha già fatto conoscenza
parlando in quale lingua non si sa...... La cena - con i bambini ma senza marito - è abbondante e non male.Peccato che è il residuo del catering che avevano preparato.


9 Giugno 2014 -

Questa mattina sarà dedicata alla visita di Zanzibar, o meglio della sua capitale StoneTown, città di pietra, chiamata così perchè le case erano costruite con la pietra corallina, di cui abbondano i fondali.
La colazione l'abbiamo consumata in cucina: non proprio il massimo dell'igiene.
Il pavimento è grasso e pensare che ci camminano scalzi ...anche il lavello è ingombro di stoviglie non lavate, ma come si dice....meglio non guardare cosa c'è sotto il tappeto!

Con un taxi ci siamo fatti portare alla grande piazza notata ieri, Darajani,  che sembra essere il crocevia della città.
C'è infatti un brulichio impressionante di persone: alcune stazionano all'ombra dei grandi alberi in apparenza oziosi, altri si affannano con la merce ai bordi  del mercato il Derajani bazar che è alimentare ( è qui il famoso mercato coperto del pesce e della carne) con i ricchi banchi della frutta e delle spezie ma anche per l'abbigliamento e prodotti per la casa e mille altre cose. Il traffico è intenso e caotico, su un lato un mucchio di auto e motorini parcheggiati, forse tassisti in attesa di clientela, più avanti una stazione di autobus....

La luce del giorno è accecante ed esalta i mille colori, il caos crea buonumore, decidiamo però di non avventurarci nel mercato ma di inoltrarci  nei vicoli strettissimi che ci porteranno al porto.
Non c'è asfalto ed il solito rigagnolo biancastro, residuo delle attività di pulizia a secchiate degli androni delle case, scorre lungo i vicoletti e si aggruma in pozzanghere che ci costringono a salti ed equilibrismi.
Banchine alte prospicienti le abitazioni , specie di marciapiedi  - consentono il passaggio quando le stradine si tramutano in torrenti per le piogge tropicali
Stone Town è stata dichiarata patrimonio dell' Unesco per la presenza di stili architettonici diversi: quello indiano dei massicci balconi in legno traforati e dei portali  intarsiati, lo stile arabo, il persiano, ma il colore dominante è il grigio delle abitazioni non intonacate, l'impressione è di degrado generale ; i vicoli così stretti hanno probabilmente un origine legata alla necessità di ripararsi dalla calura e anche se appaiono un labirinto, tutti portano al mare.
Ogni tanto uno slargo ed un incrocio rompono l'oppressione degli edifici troppo ravvicinati, mentre negozi stracolmi di mercanzie bar e moschee li colorano.E' un paese mussulmano ma le donne quasi tutte a capo scoperto vestono abiti lunghi e colorati, quando non abiti occidentali.

Finalmente arriviamo al mare: di un azzurro intenso. Alcuni  uomini  lavorano di scalpello attorno ad una grande barca malmessa, dall'alta banchina ragazzi temerari si esibiscono in tuffi acrobatici, nella rada una decina delle tipiche barche , alcune solcano il mare con la vela a triangolo.
C'è posto anche per alcuni motoscafi e barche a motore.
Francesca ci indica l'isola poco più al largo: e' la "Prison Island",dove erano imprigionati i neri ribelli, deportati dagli schiavisti,  piccolo paradiso in terra ed in realtà, anche se l'impressione di miseria resta, il panorama e l'atmosfera sono idilliaci.
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C'è un caseggiato grande lungo la strada, che Fra ha già frequentato: è un centro culturale ed una scuola di musica .L'edificio è il vecchio Dispensario. Varcato il portale un grande cortile isola la scuola dal caos di fuori: Al primo piano tutto intorno un ballatoio in legno dipinto di blu ed intagliato: la musica dissonante di strumenti diversi che provano arie diverse si diffonde armoniosa.
Saliamo una rampa di alti gradoni: piccole aule intonacate di bianco si aprono sul patio, le porte aperte o addirittura senza; c'è la classe di violino, poi quella degli strumenti a fiato, poi ancora
un piano con tastiera ridotta una specie di spinetta: c'è un ragazzo con grandi mani che la sta suonando.
Dalla parte opposta si sente il rullare dei tamburi. Sono sorpresi di vederci curiosi ma ci accolgono alle loro prove con grandi sorrisi. Alcuni riconoscono Fra.
Io sono sorpreso di scoprire le loro abilità.....quasi occidentali! quasi non potessero...e mi soffermo a pensare ai pregiudizi ed alla miseria delle nostre opinioni  

Sul lato corto dell'edificio il ballatoio si apre in una terrazza sul mare: uno spettacolo ed un panorama splendido! alcuni ragazzi sono lì fuori in pausa a godersi la brezza marina; uno di questi, che Fra ha già visto esibirsi, la invita ad andarlo ad ascoltare in una tournee che farà a breve in Europa. Il mondo è veramente piccolo per questi giovani.
Riscendiamo a malincuore, non senza aver indugiato ancora in una delle aule dove si esibiva un trio: potere della musica.    

Siamo di nuovo in strada: edifici dismessi e malmessi fatiscenti e rovinosi  prospicienti il mare: residui di una grandeur trascorsa. Faccio foto. Sono questi gli edifici per cui Stone Town è patrimonio dell'Unesco: Il Palazzo delle Meraviglie,Il Dispensario, Il Palazzo Reale.
Davanti a quest'ultimo due ragazze ci indicano l'ingresso: l'antica residenza,  oggi un museo, del Sultano di Zanzibar! . L'ultimo, il nono, sultano Khalifa Bin Harub  ha regnato fino al 1960.

Zanzibar - che in swahili significa "terra dei neri" - deve la sua notorietà, e la sua ricchezza, alla tratta degli schiavi che dal continente erano inviati in Medio Oriente : l'isola e l'arcipelago facevano parte infatti dell'Oman e gli omaniti erano la casa regnante. Ancora oggi si possono vedere a StoneTown i luoghi del mercato dove gli schiavi erano trattati e venduti :  in particolare la Chiesa di Cristo - che però noi non abbiamo visitato - costruita nella piazza dove si faceva il mercato degli schiavi ed il cui altare è esattamente nel posto in cui gli schiavi venivano legati ad un palo per essere frustrati.
Diventato poi un protettorato inglese, Zanzibar divenne famosa come l'isola delle spezie: ancora oggi è  un importante centro per il commercio soprattutto dei chiodi di garofano di cui è  uno dei maggiori produttori mondiali.

Il palazzo museo conserva alcune suppellettili che però non riescono a dare, così nude come sono messe in mostra, l'idea della magnificenza che il  palazzo del sultano doveva avere: un po' deludente.

Riprendiamo la nostra passeggiata sul lungomare e ci fermiamo a mangiare in un prato vicino al porto.
All'interno di uno spiazzo vedo un gruppo di donne sedute in circolo a fare non so cosa, ma che stanno intonando la filastrocca della canzone Zanzibarina. E allora prendo un foglio di carta per scrivermi le parole ed insieme cantiamo:
Jambo, Jambo buana, habari gani,mzuri sana....Wageni, Wakaribishwa, Zanzibar yetu Hakuna Matata.
Zanzibar nchi nzuri, Hakuna Matata. Nchi ya maajabu Hakuna Matata. Nchi yenye amani, Hakuna Matata.  Watu wote, Hakuna Matata, Wakaribishwa,Hakuna Matata. Hakuna Matata, Hakuna Matata
L'inno di benvenuto ai bwuana"! Bellissimo 
E' ormai pomeriggio e vinto a malincuore  il languore con cui  la natura e tutta la bellezza che ci circonda ci avvolge, riprendiamo la passeggiata. Fra ci mostra alcuni degli alberghi lussuosi destinati ai ricchi clienti: in effetti c'è una trasformazione in atto dei vecchi edifici pericolanti che vengono acquistati e ristrutturati per farne residenze lussuose per i turisti.
Ci  inoltriamo di nuovo tra i vicoli: Fra ci vuole mostrare dei sandali che avrebbe voluto prendere, e poi - sorpresa! -  ci invita a ristorarci in un bar freschissimo, anche questo pittato di azzurro, pulito e tranquillo un oasi fuori dal caos. Un intermezzo di relax molto apprezzato.
Attraversando ancora vicoletti e piazzette - notevoli le grosse ragnatele tessute da enormi ragni neri evidentemente innocui perchè tollerati da tutti - ritorniamo nella grande piazza del mercato.
Fra aveva concordato poco prima con un tassista, un ragazzo moderno, il ritorno a casa.

10 Giugno  -
Le sorprese non finiscono mai. Una esperienza indimenticabile.
Oggi andremo a visitare una delle molteplici piantagioni in cui vengono coltivate le spezie
 Ci vengono a prendere con una  monovolume a più posti, molto popolari qui tra i tassisti, e insieme all'autista sale con noi la persona che ci farà anche da interprete, perchè parla un po di italiano.
Ci inoltriamo quindi verso l'interno dell'isola percorrendo una strada stretta ma comoda anche se trafficata.
Allontanandoci dalla città la vegetazione si infittisce, di palme, alberi di mango di banani, ma mai come la  giungla che ci si poteva aspettare. In verità non c'è niente di interessante e dopo poco più di mezz'ora arriviamo a destinazione: è la BUDA SPICE FARM !

E' una azienda agricola e quindi camminiamo in mezzo ad alberi e piantedistribuiti  in apparenza a caso.
Ci accolgono due signori che scambiano alcune battute con il nostro interprete,quindi iniziamo il giro
Fin da subito si è unito a noi ed alla nostra guida un simpatico ragazzo che chiamerò Abdul, dalla faccia larga e pulita e labbra grandi, ma non enormi; veste una maglietta tipo Inter a strisce nerazzurre ma purtroppo non parla neanche l'inglese. Si muove come un folletto, lo vedevamo precederci, improvvisamente sparire e poi ripresentarsi con qualcosa in mano per noi. E' stato lui la nostra vera guida; ad un tratto si inchinava per prendere una bacca,  o scavava con le mani per tirar fuori una radice oppure strappava un frutto da una pianta: ed ogni volta era una sorpresa.
La bacca si apriva e ne usciva un nocciolo rosso intenso... era l'albero del rossetto, con cui ha impiastricciato le nostre e le sue mani e gote e labbra, una specie di fagiolini lunghi appesi ad una pianta, "odora odora", erano le stecche di vaniglia, e poi una erba miracolosa che strisciata e applicata avrebbe guarito la ferita di Fra dietro al tallone, non potevano mancare i chiodi di garofano stecchetti marroncini con la testa proprio come un chiodo, la cannella lo zenzero.....

E mentre saltava di qua e di là, o quando eravamo fermi  attenti alla spiegazione, lui il ragazzo armeggiava ed intrecciava fili di foglie di palma e come per magia ci abbigliava con cravatte ed anelli, borsette a spalla e bracciali ma soprattutto ci ha regalato dei copricapi da lasciare senza parole per la bellezza e la accuratezza della fattura: per me una specie di scescia ma alta tanto da farmi ricordare le foto dei re africani, ed era quello che mi sentivo, e per le donne invece delle corone elaborate. Ma di una morbidezza e di una resistenza tali che unite al verde intenso della fibra vegetale li faceva apparire delle vere opere d'arte.
Sono andato in giro orgoglioso con quel copricapo e nonostante l'ilarità non ho voluto toglierlo.

Una atmosfera incantata un tempo piacevolissimo, culminato con l'avvicinamento ad un gruppo di altissime palme. All'improvviso mentre stavamo parlando con altri lavoratori della piantagione vediamo Abdul arrampicarsi a quattro mani su per il tronco infinito della palma ad una velocità supersonica ed ad una altezza da brividi: in un attimo era su in cima seminascosto dalle foglie mosse dal vento che ci salutava aggrappato con i soli piedi. Poi ancora velocissimo giù a portarci due grosse noci con l'involucro di legno chiaro.
Gli altri lavoranti con colpi ben assestati del machete che portavano in mano, ci offrivano da bere il succo del cocco. A me non è mai piaciuto molto, ma quello era freschissimo e più che latte sembrava acqua dolciastra.  Nel frattempo da sopra ci faceva ancora saluti e si metteva in posa per le nostre foto.

La visita volgeva al termine: erano passate oltre due ore erano sembrati due minuti: Ci siamo diretti verso un posto di ristoro, previsto dal tour, dove ci hanno allietato con mango e banane. Non poteva mancare la bancarella del souvenir con sacchetti di spezie targate Zanzibar.Solo andando via mi è venuto di pensare che, nonostante la coltivazione di decine di spezie diverse, non si sentiva nessun odore particolare.


11 Giugno -  C'è un altro luogo che Fra vuole mostrarci: Il Mnarani Marine Turtles Conservation Pond
è una specie di clinica/allevamento per le tartarughe marine che vengono curate, alcune fatte crescere nel bacino marino naturale  e poi ridate al mare. Le tartarughe giganti di Zanzibar infatti, pur essendo una specie protetta,  vengono catturate dai pescatori di frodo per la bontà della loro carne. Per evitare questo ai pescatori che portano  al centro le tartarughe che rimangono impigliate nelle reti viene data una piccola somma in denaro.
In questo momento il centro è gestito da una signora inglese che Fra ha già incontrato e che ci farà conoscere.

Bisogna arrivare al villaggio di Nungwuji - che in sawilji sta per isola delle tartarughe -è dalla parte opposta di StoneTown e per questo aveva concordato con il ragazzo tassista di accompagnarci : tornerà a riprenderci nel pomeriggio.Perciò ancora mattinieri pranzo al sacco partiamo per questa nuova avventura.
 Il tratto di strada ripercorre in parte quello della factory delle spezie, ma poi continua attraversando villaggi
che incontriamo improvvisi; non ho una cartina dell'isola e quindi non riesco ad orientarmi.

Attraversiamo, dopo oltre un'ora, più che un villaggio un gruppo di caseggiati bassi, la strada è polverosa non più asfaltata, bambini capre e galline si rincorrono giocondi, e finalmente l'oceano che vediamo plumbeo, come il cielo, prima frammezzo le case e poi maestoso nell'ampia radura che si apre: siamo arrivati!

Siamo su un piccolo rialzo della costa, sulla punta dell'insenatura, dove la vegetazione di alti alberi lascia spazio all'ampia striscia bianca di sabbia finissima quasi polverosa che contrasta con il colore del mare verde acqua segnato più al largo da una linea scura grigiastra quasi nera. Ed in effetti, benchè sopra di noi il cielo
sia azzurro verso occidente i residui di una tempesta al largo sta lasciando volute di nere nuvolaglie gonfie di pioggia che ancora incombono sull'acqua.
Davanti a noi in rada decine di barche di pescatori, le cui case tra la foresta ed il mare arrivano quasi sulla spiaggia. Queste barche sono i famosi dingo che vengono realizzati da esperti maestri d'ascia proprio in questa zona: un tour per turisti consente di visitare i cantieri e gli operai al lavoro.

Tra le barche alcuni bambini giocano in quest'acqua densa, verdina, quasi saponata.

Il centro del Conservation Pond è una  struttura in legno bassa, povera,  con cartelli esplicativi sulla fauna e sulla vita delle tartarughe, appoggiati ad una staccionata vicino l' ìingresso scheletri e teste di delfini e pescecani ed il dorso scheletrito di una delle più grandi tartarughe del posto. Servirà per scattare foto.
 La signora Inglese  riconosce Fra e ci viene incontro e poco dopo scoppia in lacrime.
Ci spiega di essere sola li' - il suo volontariato che svolge da poco più di una settimana implica  il soggiorno in quella struttura anche di notte - senza luce ed impaurita dai rumori della notte, dagli animali e dagli uomini con cui non riesce ad avere se non sporadici contatti: le loro lingue non si intendono.
E' per questo che accoglie Fra come una salvatrice. Presto le lacrime si asciugano lasciando il posto al sorriso. Ci invita ad entrare e a visitare il centro.

Nel bacino di acqua marina nuotano alcune tartarughe, alcune grandi ma non giganti come pensavo, per lo più di medie e piccole dimensioni, Fra ne accarezza alcune, ci sono anche dei grossi pesci simili a cefali.
Quest'acquario non mi sembra troppo interessante, anzi sembra piuttosto trascurato.
Ben presto ci spostiamo nell'attiguo bar-veranda con libera vista sull'oceano.
Facciamo una passeggiata per fotografare da vicino una mucca con il suo piccolo che pascola tranquilla sulla spiaggia.
Ora le nubi nere si stanno annacquando e sono più lontane all'orizzonte, quasi quasi mi faccio un bagno.

Presto detto mi immergo tra le barche dove prima giocavano i ragazzini e Fra in posa di reporter scatta foto in continuazione a tutto quel ben di dio. Poi non si trattiene e in    della febbre si butta anche lei. Anzi nuota verso il largo: l'acqua non è fredda ma le onde sono ancora gonfie.

Dopo il pranzo ci avventuriamo ancora in una lunga passeggiata lasciando Forty al bar a parlare con la signora inglese...in quale idioma non si sa, ma le sue capacità comunicative vanno ben oltre il banale linguaggio.
Scopro così, e Fra me lo fa notare, che in realtà quella spiaggia è un posto di villeggiatura che a breve sarà attrezzato con sdraio e ombrelloni chioschi bar e musica a tutto volume: la creatività e l'ironia dei locali hanno creato delle finte boutique in capanni con i nomi dei brand più improbabili : La boutique di San Gennaro, La Piccola Capri, Versace.....curiosamente tutti nomi italiani, qualche riferimento alla nazionalità dei villeggianti?!

La magia della natura che ci sovrasta, la luminosità del primo pomeriggio, la calma, il fruscio del vento tra i rami degli alberi della foresta che incombe sulla spiaggia fino al limitare delle onde, il rumore della risacca, richiami che vengono da lontano dalle barche di pescatori al largo intenti con le loro reti, bambini che giocano sulla sabbia con pezzetti di legno, una atmosfera di beatitudine che non si può ricreare nè a parole nè per immagini.

Dove gli alberi sembra vogliano entrare nel mare questo fa un insenatura profonda creando una piscina naturale, di fronte una spiaggia e sopra un promontorio: sparsi tra la fitta vegetazione bungalow, case,
ville perfino tutti di un  colore bianco illuminato dal sole che risalta  nel verde: è un resort per ricchi!

Torniamo lentamente all'acquario, Fra è stanca. Questa febbre di cui non conosciamo la natura, sembra non voglia lasciarla.E' malinconica ed anche arrabbiata per le discussioni che tra noi non mancano mai. Ma così è ancora più bella e mi diverto a scattarle alcune foto.

Il tempo è passato velocemente ed il nostro autista è già arrivato. Salutiamo la signora Inglese e riprendiamo la strada del ritorno.Un traffico incredibile fatto di ogni possibile mezzo di locomozione ci accoglie nei pressi di StoneTown, ed è così colorito, così rumoroso, così vario che non può non rallegrarci  


12 Giugno - Fra in questo viaggio ci ha fatto un regalo enorme organizzandoci il soggiorno a Zanzibar
con delle esperienze indimenticabili !

Questa mattina ci vengono a prendere, col solito pulmino, ed andremo in mezzo all'oceano sull' isola
che scompare!  E' un banco di sabbia quasi rosata che viene sommersa con l'alta marea di mezzogiorno, e ricompare quattro ore dopo con la bassa marea.L'isola Ngwuyi.
Ma prima bisogna raggiungere la costa, ed allora dopo quasi un'ora di viaggio attraversando strade e stradine in un ambiente più selvaggio di quello del giorno precedente, ci fermiamo in una piccola radura dove sono ad aspettarci altri turisti che condivideranno con noi la traversata: due ragazzi australiani, madre e figlia olandesi, un altro gruppo. Ci inoltriamo in fila indiana lungo un sentiero battuto ed arriviamo poco dopo sulla costa, con l'oceano di un azzurro intenso che ci appare all'improvviso fuoriuscendo dalla foresta: l'isola si vede da terra non è molto distante

L'oceano si è ritirato e ha lasciato scoperto più di cinquanta metri di battigia, ma non è sabbia: è la caratteristica scogliera calcarea corallina - la barriera di frangente. E' un intrico di strutture tipo coralline più o meno raccolte che costituiscono il fondale, appuntite che fuoriescono da una specie di rena melmosa in cui brulica, insieme agli immancabili residui plasticati, una fauna minore fatta di vermi, piccoli insetti, mitili,  pescetti intrappolati nelle piccole pozze, che sono preda di volatili rapaci e uomini raccoglitori che vagano in lontananza con secchi di plastica e un legnetto in mano  alla ricerca di esche per la pesca, sondando il terreno impraticabile con i piedi nudi o protetti da samurai di gomma.

Dobbiamo aspettare che la barca che ci porterà sull'isola venga a prenderci. L'attesa si protrae ma la bellezza del luogo ed il tentativo di traversare saltellando il groviglio della piattaforma  non disturba, poi finalmente il barcone arriva ed è un vociare festoso e quasi una corsa per raggiungerla.
Un barcone di legno massiccio, quasi grezzo, primitivo, con pali storti, in apparenza così come raccolti, infilati nel mezzo e sulle sponde laterali, un timone enorme con una lunga barra anch' essi di legno pieno, un palo in orizzontale a fare da boma per una vela di tela grezza e sporca, le sedute arrangiate con tavole instabili, il fondo .....grezzo e ingombro di secchi e taniche e stracci.
Una scaletta di ferro piuttosto arrugginito serviva ad agevolare la salita piuttosto complicata  specie per Forty ma alla fine tutti a bordo e con un po' di perplessità partiamo.

I nostri marinai, ragazzoni e ragazzini neri, che armeggiano con motori timone e ancore sono sempre sorridenti  e mostrano sicurezza e padronanza del mezzo e delle manovre, così ci rassicuriamo anche perchè la meta è a vista, la traversata durerà poco più di mezz'ora, l'andatura è tranquilla e il mare pure.
Lasciandoci sulla destra l'isola verdeggiante approdiamo sulla lingua di sabbia che emerge isolata in mezzo all'oceano: la parte centrale leggermente più elevata della periferia che è già sommersa. In effetti siamo un po' in ritardo perchè la marea si sta già alzando e in breve tutto l'isolotto scomparirà. C'è tempo però per una breve immersione - in realtà avremmo dovuto fare dello snorkeling - e soprattutto per un rinfresco a base di frutta: cocco mango e cocomero...

Purtroppo dobbiamo lasciare presto l'isolotto, i tempi della natura non sono negoziabili, e ci rivolgiamo verso l'isola che ci presenta uno spettacolo affascinante: una foresta di mangrovie lussureggianti. La barca ci porta lentamente nelle piccole insenature, silenziosamente quasi a non disturbare: il verde smeraldo dell' acqua riflette quello intenso delle mangrovie, che crescono sulla base rocciosa modellata dal mare in archi e grotte; alcune spuntano dall'acqua improvvise come enormi cespugli isolati, e il sentimento è di stupore di fronte a tanta bellezza, a tanta pace.

Ci risvegliamo presto perchè la barca nel frattempo ha attraccato:  dobbiamo scendere e la cosa non è così pacifica perchè siamo un po' distanti dalla spiaggia e l'acqua è alta.
"Approdiamo" e seguiamo un sentiero che ci porta ad una serie di tavoli con panche organizzati sotto una
ampia pèrgola verdeggiante: condividiamo con alcuni paguri giganti molto divertenti che a ritroso tentano la loro strada verso il mare. Non facciamo a tempo a sederci che veniamo omaggiati da portate successive ed incredibili di aragoste enormi, pesce arrosto bianchissimo, mitili giganti, birra e coca cola..... è il nostro pranzo del tutto inaspettato, ma soprattutto mooolto gradito! anche se come solito mi lascio andare a sciocche considerazioni sulla scarsa spontaneità dell'offerta: mi piacerebbe ogni volta  essere il primo e l'unico a godere di un simile spettacolo, ma mi rendo conto di essere in ritardo almeno di due tre secoli! .

Il dopopranzo ci regala l'ultima meraviglia di giornata: un albero di BaoBab, il più antico di tutta Zanzibar,
che prendiamo letteralmente d'assalto per la migliore delle foto.
Risaliamo sul barcone, non senza qualche difficoltà che Fortuna supera mostrando una volta di più tutta la sua tenacia e adattabilità, e ripartiamo verso la terraferma.
Il nostro capitano ha deciso di alzare la "randa" e di tornare col favore di vento. L'ilarità e l'eccitazione generali si smorzano dopo poco quando ci rendiamo conto del moto ondoso e dell'altezza delle onde.
Il nostro "barcone" in apparenza così solido sembra adesso un fuscello in mezzo al mare sbattuto su e giù e a destra e sinistra, i commenti scherzosi servono a rassicurare chi li fa, ci si chiede come possa quella barca che sembra legata con lo sputo, non sfasciarsi alla prossima ondata, forse è il caso di accendere i motori per
arrivare prima.....ma il capitano e gli altri si mostrano tranquilli e sorridono delle nostre paure.

Ovviamente avranno ragione loro. L'alta marea ha coperto ora il tratto di spiaggia questa mattina scoperto, e attracchiamo proprio in prossimità della foresta. Scendere dalla barca è quasi un sollievo per tutti, e riprendiamo il sentiero per il pick up. Forty per non prendere storte ha bisogno del braccio del nostro accompagnatore, l'amico di Fra che ci ha organizzato questo splendido Safari Blu.


12 Giugno -

  


    




      



           



  

giovedì 2 febbraio 2017

Il nostro viaggio in Africa - 6°

5 Giugno 2014

L'incredibile situazione in cui ci siamo trovati, esclusivamente per colpa mia, non deve distoglierci dal godere
dell'opportunità che abbiamo di vedere gli animali liberi nel loro habitat naturale.

La tappa di oggi, la prima, sarebbe dovuta essere il Parco del Lago Manyara.

Michael è un ragazzo bravo e disponibile.Avrà una trentina d'anni, alto e robusto con una bella faccia larga
occhi grandi ed un sorriso che ispirano fiducia. E' sposato con tre figli. Vive ad Arusha dove è qualche anno che fa la guida per il safari sia direttamente che per conto di agenzie; non si è mai trovato in situazioni come la nostra, ma dà la responsabilità a Barnaba di cui non sembra avere una buona opinione.

Risolta, chissà come, la questione con la polizia riprendiamo la strada per il Lake Manyara, che dista da Arusha oltre 100Kmm . E' ora di consumare il pranzo previsto nel pacchetto. Infatti il pranzo è un...pacchetto!
Ci fermiamo in un'area attrezzata con resort al lato della strada ai margini di un piccolo bosco con grandi alberi, Michael pure. Francesca grazie alla tachipirina si sta riprendendo e comincia a godere della giornata calda e assolata. Lungo il percorso in una ampia radura polverosa si sta svolgendo un tipico mercato Masai: con la merce esposta in terra  una moltitudine di uomini e donne nella tipica tenuta si raggruppano vocianti attorno alle mercanzie. Michael, ritenendo che fossimo interessati ad acquistare, ci fa scendere: subito siamo investiti da donne che festose ci mostrano amuleti e collanine: Mi ritraggo quasi timoroso: non devo acquistare e opporre continuamente un diniego mi pare stupido; inoltre ribadisco di non trovare niente di folcloristico, piuttosto una gazzarra ad uso e consumo dei "buana"! Vale comunque qualche foto.

Arriviamo al parco che è ormai pomeriggio quindi la nostra visita sarà per forza ridotta

Il Lake Manyara è un Parco Nazionale caratterizzato da un ampia zona umida con alberi secolari di tipo diverso, per lo più acacie : Quello è un Tamarindo! esclama ad un tratto Michael che parla ovviamente in Inglese con Francesca: sta cercando di farci dimenticare la brutta mattinata e ci porta in giro con la sua jeep per il parco indicandoci di volta in volta gli animali che incrociamo, per lo più volatili . Il parco ne ospita moltissimi  ma è famoso soprattutto per i leoni che si arrampicano sugli alberi, cosa che solitamente non fanno. Ma ovviamente è difficilissimo riuscire a vederli . Per noi invece ecco una scimmietta che pende con un braccio da un albero, ce n'è un 'altra: cerco di fare qualche foto ma vengono tutte mosse. Stiamo infatti attraversando una profonda fossa colma d'acqua, residuo delle piogge dei giorni scorsi, proprio come in un safari vero.

Il percorso è segnato e sfocia in una ampia radura, la savana, e giù in fondo il lago: non possiamo arrivare fino a lì perchè ormai è tardi. Ci fermiamo presso un grande baobab in cui, a guisa dei film di indiani, è appeso il cranio di un bufalo. Più avanti una mandria di gnu bruca senza sosta, mentre in lontananza si vedono dei bufali e persino giraffe, dice Michael, ma il sole sta calando e la visibilità è scarsa, almeno per noi che non siamo abituati a riconoscere le sagome. Ma una cosa riusciamo a vedere: una striscia rosa e rossastra illuminata dal sole col riflesso nel lago: sono i flamingos - fenicotteri rosa - che a decine di migliaia occupano le sponde del lago in uno spettacolo davvero suggestivo che cerco invano di riprendere.
Michael ci racconta storie di leoni che cacciano gnu, ed invero di carcasse se ne vedono diverse.
Ma è già ora di tornare: sta imbrunendo ed il parco chiude.

Lungo la strada per l'albergo, dove dovremo dormire due notti, Michael ci fa vedere un' ultima volta il lago con la striscia rosa dei flamingos!  Il Jambo Lodges è  all'ingresso di un villaggio Masai:
tutta l'area dei Parchi Nazionali al confine tra Tanzania e Kenia è abitata da Masai, e ne abbiamo incontrati diversi lungo la strada, seguire o precedere il piccolo gregge di capre o mucche .
Vediamo da vicino quello che vedevamo in macchina e poi in jeep: l'asfalto si insinua come un estraneo tra  la terra rossa che a destra e a sinistra si protende fin dentro le case rettangolari, anch'esse di mattoni rossi;
la vita si svolge all'esterno, le attività commerciali, i bar, i bambini che corrono, uomini in bicicletta o con le birre in mano: l'imbrunire e la luce di lampadine bianche al neon, tutto contribuisce ad una atmosfera caotica,
all'apparenza misera ed indolente.

Il nostro Lodge è una struttura polivalente: ci si può accampare in tenda, oppure affittare roulottes, oppure, come nel nostro caso, essere ospitati in bungalow in muratura e legno piuttosto confortevoli: il nostro è costituito da una ampia camera con un letto matrimoniale e l'altro letto, soffitti alti e perfino il bagno accanto, fuori però.
Per noi è prevista la cena: una ragazza molto giovane e carina in grembiule nero ed un po' timidina, ci fa accomodare nel ristorante: cè un grande pianoforte, ma soprattutto è buio.....c'è solo una piccola luce fioca.
Prende le ordinazioni e...sparisce.
Aspettiamo pazienti, quasi al buio, ma non si vede nessuno. E' passata ormai mezz'ora e riusciamo ad avere una bottiglia d'acqua, la ragazza di prima si riaffaccia, quasi divertita e ci rassicura che sono quasi pronti.
La giornata è stata lunga e vorremmo andare a riposare. Un'altra mezz'ora e ci accontenteremo di un po' di pane; Si sente un chiacchiericcio continuo, Fra si affaccia alla cucina e tre o quattro matrone conversano amabilmente, non si scompongono alla nostra richiesta e ci riassicurano che stanno cucinando.
Ancora mezz'ora e finalmente arriva la ragazza con le pietanze.....pollo e frittata! Non sembrava ci volesse tutto quel tempo, ma per loro il tempo non è mai un problema.

Andiamo a letto, domani ci aspetta NgoroNgoro!

Sveglia presto alle sette e pronti per le otto. Michael con il suo jippone è già li .
Arriviamo presto all'ingresso del Parco Nazionale e mentre Michael va a prendere il passi  noi ci dilettiamo a fotografare una grande scimmia con dei piccoli che si aggira nel parcheggio tra le auto.
Francesca per ora sembra stare meglio e partecipa all'ilarità generata dalle movenze dei nostri simili!
La giornata è uggiosa ma in realtà, ci spiega la nostra guida, il fenomeno della fitta nebbia in cui siamo immersi è dovuto al cratere. Riporto in copia e incolla una descrizione del Parco :

" Il cratere di Ngorongoro è un cratere vulcanico situato nella pianura di Serengeti e ad est del Parco del Serengeti. L’area attorno al cratere costituisce la riserva naturale di Ngorongoro, si trova a 2200 metri sul livello del mare, misura oltre 16 chilometri di diametro e occupa in totale un’area di circa 265 chilometri quadrati. Si tratta della più grande caldera intatta del mondo. Sulla corona del cratere corre un’unica strada, sul versante meridionale. Ci sono quattro strade che collegano la corona con l’interno del cratere; il percorso richiede circa 30 minuti infuoristrada. Il cratere appartiene all’area più estesa (circa 8300 chilometriquadrati) della, Ngorongoro Conservation Area, o NCA. 
La NCA viene amministrata dalla Ngorongoro Conservation Area Authority, che è un organismo indipendente dal sistema dei parchi nazionali della Tanzania e amministra l’area in modo diverso; per esempio, all’interno dell’NCA la popolazione dei Masai può vivere e spostarsi liberamente, cosa che non avviene in nessun altro parco della Tanzania. Oltre al cratere omonimo, la riserva di Ngorongoro include due altri crateri di dimensioni minori, Olmoti ed Empakaai, nonché l’importantissimo sito archeologico delle Gole dell’Olduvai, conosciute come “culla dell’umanità”. Qui vennero rinvenuti resti di uomini primitivi risalenti a circa 1.75 milioni di anni fa e svariati fossili di animali risalenti all’età della pietra. 
Grazie alla buona piovosità, agli stagni e ai piccoli laghi e torrenti interni, alla nebbia notturna che circonda e alimenta le foreste dei pendii del vecchio vulcano, la zona è divenuta un vero e proprio ecosistema. La savana occupa la zona più interna del cratere, alternandosi a tratti di palude, macchie di acacia e zone aride semi-desertiche; al centro del cratere si trova un lago. Nel cratere la concentrazione di fauna è impressionante: si calcola che sia abitato da oltre 25000 animali di grossa taglia. L’immagine più tipica è probabilmente quella degli enormi branchi di zebre e gnu, ma nel cratere abita la gran parte delle specie tipiche della savana: elefanti, leoni, bufali, iene, sciacalli, ippopotami, babbuini, nonché alcune piuttosto rare come i rinoceronti bianchi, ultimi superstiti di una specie che nel resto della Tanzania è minacciata dall’estinzione, e i leopardi, che vivono sugli alberi della foresta pluviale che ricopre i pendii del cratere."


La nebbia in cui è avvolta la zona superiore del cratere, e che si diraderà nella tarda mattinata, rende l'atmosfera tutto intorno quasi fiabesca: scendendo, alberi enormi si animano all'improvviso davanti a noi e poi scompaiono, sotto di noi la vegetazione  fitta e variegata appare appoggiata alla nuvola, la strada è sterrata e fangosa ma procediamo spediti ; piano piano la nebbia si dirada,  gruppi di acacie abbarbicate al pendio ai lati del sentiero con i loro caratteristici grandi ombrelli aprono la vista su una vallata giallastra e Michael ci indica alcuni villaggi Masai sparsi nella savana. Non dobbiamo tardare troppo per vederceli davanti: in realtà sono dei bambini, già ben istruiti, che per farsi fotografare pretendono la mancia che in questo caso diamo volentieri: sono molto belli protetti dal freddo nelle loro tipiche coperte colorate.

Arriviamo ad un punto della discesa in cui la pendenza consiglia di distanziare il traffico: ne approfittiamo per scendere e prendere qualche foto: il panorama è grandioso. La savana si perde a vista d'occhio;   al centro del cratere staziona una fitta coltre di nebbie: è l'acqua del lago che si condensa per la differente temperatura e la rarefazione dell'aria producendo una specie di miraggio! Cominciamo a vedere gruppi di zebre isolate, caratteristici nidi appesi ad alberi di acacie., Michael ci indica per nome ogni tipo di animale, incluse le molteplici specie di volatili:, pellicani, aironi e cicogne, sono solo le più note, ma anche uccelli più piccoli coloratissimi fino ai minuscoli che in serie od isolati sono indaffarati a immergere i loro becchi più o meno lunghi negli stagni, oppure camminano indisturbati lungo le piste battute.
In lontananza sul lago si ripropone lo spettacolo della lunga macchia rosa dei flamingos.

Ma quello che più affascina è vedere migliaia di animali che, incuranti delle numerose jeep che scorazzano per le piste, trascorrono la loro esistenza liberi condividendo pacificamente l'enorme spazio che la natura gli ha messo a disposizione. Non sembrerebbe applicarsi qui il famoso proverbio africano per cui nella savana africana allo spuntar del sole se sei gazzella ......: certo noi possiamo solo immaginare come possa scatenarsi in un attimo la lotta per la sopravvivenza tra preda e predatore, ma al momento che guardiamo sembrano convivere senza grossi traumi. 
Ed allora si vedono mandrie infinite di gnu, zebre incinte che sembrano caricate da enormi borse laterali ed i loro piccoli che giovani non hanno ancora acquisito la livrea a strisce , bufali enormi con le lunghe corna arcuate e la fronte....bassa, ecco una jena che si avvicina saltellando ed una elegantissima signora struzzo che si guarda attorno col lungo collo, lì una famiglia di facoceri bassi e tozzi, il piccolino sembra quasi carino,
e gli elefanti e gli ippopotami..... Noi siamo gli intrusi e non se ne curano.

Tre situazioni per ricomprendere le tante vissute nella giornata. Un incontro ravvicinato con una famiglia di elefanti che grazie alla perizia di Michael nel posizionare la jeep abbiamo potuto quasi sfiorare. Il bagno nello stagno di un folto gruppo di ippopotami e l'ilarità generale quando uno di questi è "montato" sopra un altro 
con  naturalezza ed agilità: per fare cosa?!! L'agonia di un istrice morente che non è riuscita a salvarsi dalla follia omicida di un...quattroruote che involontariamente l'ha schiacciata.
Consumiamo il pranzo presso un laghetto dove la corrente trascina verso il centro magicamente ed impercettibilmente un isolotto alberato contornato da papere ed uccelli, mentre più in là alcuni ippopotami 
si rinfrescano con i grossi occhi socchiusi. Francesca, nonostante la febbre, non rinuncia a farsi fotografare in cima ad un albero.Il paracetamolo Le consente per qualche ora di sfebbrare 
Nel pomeriggio continuiamo il nostro giro, risalendo i fianchi del cratere da dove si gode del panorama
della caldera punteggiata dagli animali. Michael vorrebbe farci vedere i leoni, il re della savana, ma non riusciamo se non verso la fine: ne scoviamo  uno isolato lontano che fotografiamo e che attira la curiosità e l'eccitazione di altre jeep. Prima di finire il giro ci fermiamo presso un enorme BaoBab, con una cavità  grande da contenere più persone. Intorno alcune piccoli di babbuino fanno capoccella senza lasciarsi riprendere.

E' ora di rientrare. Ci fermiamo ad un viewpoint da cui si può ammirare l'enormità del parco e della savana.
Il sole sta tramontando ed è perfetto per tentare qualche foto panoramica.
La via del ritorno è quasi silenziosa: non c'è molto da dire. Siamo stanchi e negli occhi ancora lo spettacolo abbagliante della natura.Michael ci avvisa che l'indomani sulla strada del Tarangire ci fermeremo in alcuni 
negozi di artigianato locale: non è necessario acquistare, ma per lui portare dei turisti rientra nel suo business.
Fortuna si informa della Tanzanite: è una pietra che si trova solo in questi luoghi e negli ultimi anni ha acquisito un valore notevole presso le gioiellerie sia per le difficoltà di estrazione sia per la quantità limitata disponibile.

Torniamo al Lodge che è quasi buio.La cena è frugale e la integriamo con la nostra dispensa.
Nel Lodge non c'è quasi nessuno e la luce fioca dei lampioncini non favorisce lo stare fuori. 
Per qualche motivo trascorro una notte molto agitata: mi sono messo in testa che la persistenza della febbre di Fra possa dipendere da una setticemia per la frattura alla tibia mal curata. Mi prefiguro gli scenari più drammatici e la mattina presto convinco tutti che è il caso di portare Fra in un ospedale. Sono molto agitato.
Fortunatamente all'interno nella periferia della cittadina, non troppo lontano, nella foresta che attraversiamo su una strada battuta, cè proprio un ospedale gestito da occidentali. 
Questo ci rincuora ed in effetti la struttura, costituita da più corpi in cui ospita anche degenti, è in muratura 
solida e pulita: niente a che vedere con le case del villaggio nè con l'ambulatorio di Bagamojo.

Veniamo accolti da una inferrmiera grossa che inizia a compilare una scheda ed a fare domande a Fra.
Mi sembra una perdita di tempo ed un modo di scimmiottare appunto gli ospedali occidentali: sono nervoso
e non mi rendo conto dell'importanza delle procedure e soprattutto dello stato di prostrazione nervosa di Fra
che il mio comportamento non fa che acuire. Dobbiamo aspettare il dottore.
Finalmente un omino indiano in vestiti civili fa entrare Fra nel suo ambulatorio. Io la seguo.
Racconta della febbre, della Dengue non riscontrata a Dar es Salam, della mia paura della  setticemia.
La tranquillità e la lentezza ajurvedica di questo medico mi fa dubitare delle sue conoscenze: esclude la setticemia, non visita Fra ma la fa parlare, come se potesse fare una diagnosi dall'esterno, dalla postura
dalle espressioni da quello che dice e dal modo in cui lo dice, le guarda le mani. Sembra più un santone , e penso già che stiamo perdendo tempo, quando per fortuna ci annuncia che farà un esame del sangue per vedere la presenza del virus della malaria e gli altri valori.

 Mentre aspettiamo i risultati  facciamo la conoscenza della direttrice della struttura, o meglio della segretaria/moglie? del fondatore, un medico tedesco che al momento si trovava in Europa. Ci rassicura sulle abilità del medico e sulla scrupolosità degli esami. Questi arrivano dopo un pò e non rivelano niente del motivo della febbre persistente di Fra. La cura è quella che sta facendo più qualche medicinale per le infezioni (?). Siamo un pò più tranquilli almeno io e risaliamo sulla jeep.
Prima di riprendere la strada asfaltata,  Michael ci porta a vedere una fabbrica di mattoni che è proprio lì alla periferia del villaggio: uno spettacolo d'altri tempi in cui sormontati da una collina di terra rossa e di pile di mattoni anch'essi rossi sparsi per tutta l'area una manciata di uomini caricano camion oppure mettono la terra nelle forme che saranno poi cotte per diventare mattoni. Una attività  primordiale che si svolge identica sin dall'eta primitiva.
Come ci aveva preannunciato ci fermiamo in una radura al lato della strada dove fuori e all'interno di lunghi
 capannoni  sono messi in mostra maschere di legno, lance Masai, pelli e manufatti in legno, collane e collanine, tappeti e mantelli Masai. Ci sarebbe da prendere tanto ma le nostre finanze ci permettono solo un bastone levigato con una protuberanza, usato dai Masai per caccia e difesa.
Anche alla fabbrica della Tanzanite, in cui ci fermiamo più tardi,  non possiamo fare altro che ammirare i monili creati con questo splendido minerale: i prezzi non sono alla nostra portata anche se Fortuna perde una occasione unica.      

Per arrivare al parco del Tarangire impieghiamo oltre un'ora ed è già ora di pranzo quando arriviamo all'ingresso. Ci fermiamo ad un punto picnic per mangiare lo snack previsto nel tour.
C'è una scolaresca rumorosa in divisa e più sotto qualche jeep come la nostra.
Il parco è grande e verdeggiante ed iniziamo il giro...... Sono già innervosito perchè ho l'impressione di fare un banalissimo zoosafari, tuttavia ci sono le acacie ed i baobab che ci ricordano che siamo in Africa.

Le acacie sono alberi tipici delle zone tropicali e sono caratterizzati dalla forma ad ombrello del fogliame, tutta l'area ne è disseminata a costituire il panorama tipico della savana.
I BaoBab invece sono alberi che .....fanno tenerezza! La loro circonferenza è enorme ma non sono mai molto alti, anzi hanno un aspetto tozzo e quello che fa ridere è......la capigliatura: pochi rami rinsecchiti senza foglie. Dicono che sono alberi "a gambe all'aria" proprio perchè la chioma è più simile a delle radici.
Alcuni di questi hanno delle cavità in cui l'uomo può trovare riparo. Non possiamo non farci delle foto all'interno.

Il Tarangire è un fiume e nella sua area si trovano molte famiglie di elefanti ed i leoni che amano stendersi sugli alberi. E' molto difficile avvistarli, però Michael vorrebbe cercarne. Ci avventuriamo nel letto del fiume
ora in secca. Finora abbiamo visto qualche elefante isolato, e bellissime giraffe a gruppi di quattro, cinque esemplari. Le loro movenze eleganti ed il lungo collo che gli consente di ruminare le foglie degli alberi senza sforzo, sono un invito a fare foto.
All'improvviso proprio dietro il gruppo di giraffe e non lontani da loro una numerosa famiglia di elefanti si muove lentamente dondolando: ne avevamo già vista un'altra che ci aveva quasi tagliato la strada ma meno numerosa. Questa ha esemplari molto grandi ed anche qualche piccolo. Non sono lontani da noi e tentiamo di prendere qualche foto..... Continuiamo il giro alla ricerca dei leoni senza successo.

Usciamo alla fine dal parco affiancando un gregge sterminato di antilopi e gazzelle che saltano e si rincorrono.
E' l'ultima immagine dell nostro safari. Anzi no: siamo sulla lunga strada che ci riporterà ad Arusha e quasi subito dopo l'uscita del parco Michael ci dice di guardare a sinistra: sull'altro lato della strada
un gran numero di elefanti, forse un centinaio, si muovono piano a distanza. Inversione a U per permetterci di godere di questo spettacolo imprevisto: daje con le foto.

Arriviamo in albergo - lo stesso che avevamo lasciato appena due giorni fa - che è già dopo cena: il ristorante infatti è chiuso e possiamo solo prendere qualche snack.
Domattina abbiamo l'aereo per Zanzibar, e Michael , dimostrando ancora una volta la sua generosità, si è offerto di accompagnarci alla stazione del bus navetta che ci porterà all' aeroporto.