31 Maggio 2014 - Valigie chiuse ed un salto al market per
l’ultimo regalino : troviamo un set di matite colorate per i bambini,
All’uscita un temporale – proprio da dire Tropicale! – ci investe con palline
di grandine pesanti; strade allegate. Non sembra un buon auspicio.
Ma presto come è arrivata la perturbazione se ne va e siamo
pronti, dopo le ultime raccomandazioni , a dirigerci verso
l’aereoporto. E’ sabato,la strada è piuttosto libera e non impieghiamo molto ad arrivare. l check
in è veloce: in fila siamo dietro ad una signora araba piuttosto elegante in un
sahri setoso lungo e brillante e, dal tipo di valigie, facoltosa.
Ultime formalità, baci e abbracci , via al gate
e quindi sull’aereo un 747.
Forse non a caso la signora della fila occupa il terzo
sedile della nostra fila: Fortuna si prende il finestrino e quindi io sono
incastratao tra queste due signore!
Scambio qualche parola con la signora che va proprio a Dar es Salam: un contatto prezioso per il
cambio al Cairo.
E’ una persona molto cordiale a dispetto dell’abbigliamento
ortodosso, e mi racconta di vivere a Roma, sulla Cassia, con la madre da più
di 25 anni; sta andando dal marito che lavora nell’edilizia,
attualmente stanno costruendo una cisterna per l’acqua. Lei
è originaria del Mozambico ma ha studiato a Firenze ed è laureata in agraria,
ha lavorato per una agenzia della Fao al World Food Program , ma ora è retired.
Non ha figli in compenso ha più cittadinanze – oltre a quella italiana e
africana – ha vissuto per qualche tempo a Vancouver che giudica regione
migliore di quella di Montreal.
Certo io non posso competere con i miei
spostamenti da Meda ad Astura a Collatina.....
La sua compagnia è piacevole e sembra avere
una lunga esperienza con la Egypt Air.
Ci portano la cena in un pocket efficace e compatto: pollo
insalata biscotti, acqua e caffe’: ho mangiato tutto e non era male.
Il transfer al Cairo è più semplice dei miei timori anche
grazie alla discreta assistenza della Sig.ra Sofia – ora conosciamo il nome –
che si offre anche per darci una mano a Dar es Salam: il nostro appuntamento era a a Bagamojo, perchè saremmo arrivati troppo presto, e
quindi ci saremmo dovuti arrangiare con un taxi, ed io manifestavo le mie
preoccupazioni non solo per la lingua ma, e soprattutto, per le tasche.
Sofia
infatti mi aveva messo in guardia sui tassisti abusivi e i faccendieri che come
in tutto il mondo cercano di aprrofittare del turistra sprovveduto.
Il volo per Dar è stato meno piacevole: abbiamo sofferto il freddo della notte.
Ancora buio siamo arrivati in
vista della città : dall’alto immensa con lunghi viali
trafficati già a quell’ora da striscie gialle e rosse. Il
mare nero.
Scesi abbiamo perso di vista
Sofia e la sua assistenza – ci aveva anticipato che le formalità di
ingresso per gli...extra africani si sarebbero protratte per più di un’ora – ma
poi si ripresenta e con
estrema normalità mi chiede il numero di Francesca per
mettermi in contatto con lei. e ci fornisce il suo a Dar per qualsiasi
evenienza: Veramente gentile, chissà in quanti l’avrebbero fatto. .
Sentire la figliolina così vicino mi emoziona; sarebbe arrivata
entro un’ora quindi tutto a posto.
Salutiamo Sofia che oltrepassa la dogana mentre noi insieme
a pochi altri non africani siamo in attesa del visto di ingresso in una sala d’attesa
spartana con sportelli vetrati dietro cui funzionari di polizia dai volti simpatici con estrema
calma e lentezza visionano seriosi carte e timbri. Viene il nostro turno,
paghiamo i 50$ cadauno e ci prendono le “impronte digitali” : ma anche noi
facciamo così?
Dopo dieci minuti ci rilasciano il visto...entriamo in
AFRICA!
Carichiamo le valigie sul carrello ed usciamo e proprio li di fronte Fra
si sta sbellicando
dalle risate – ed in effetti dobbiamo essere un po’ comici: è lì da un bel poì e, come aveva supposto Fortuna, ci ha fatto lo scherzetto.
E’ bellissima con una camicetta rossa,è lì pronta ad
accoglierci con un cartello improvvisato su un pezzo di cartone: la commozione
è tanta e ci scappa la lacrimuccia.
E’ partita stamattina alle quattro e mezzo da Bagamojo con
il taxi che ha preso tramite Barnaba e che gli costa a/r 80.000 tzs: è una vecchia opel sporca ed
ammaccata , più sporca dentro.
Il tassista di poche parole, la guida è a destra..
La luce livida della mattina si adegua ad uno spettacolo per
niente attraente in queste prime ore africane.
La strada è molto larga con poco
traffico – è domenica – ma si vede di tutto: i famosi
“dalla dalla” le
corriere locali, carretti con polli, matti in bicicletta con enormi sacchi bianchi pieni di carbone caricati sul didietro – e non si capisce come riescano a
mantenere l’equilibrio – passaggi con il rosso senza problemi, attraversamenti
e motorini, manovre a rischio.
Il cielo è plumbeo, la strada seppur asfaltata è polverosa, ai lati la terra rossa; palazzi e costruzioni di cemento decorose ma comunque datate, si alternano ad
altre fatiscenti. La prima impressione è di sporcizia e degrado, piuttosto
deludente: sembra una periferia napoletana solo più grande. Niente fa pensare
che stiamo in Africa!
1 Giugno – Domenica
Anche l’autista sembra sporco : non è nero è marrone. Piano
piano usciamo dalla città e la strada
si restringe a due corsie e ai lati una sequenza senza
soluzione di baracche fatiscenti con tetti di lamiera e muri di terra rossastra
interrotti di quando in quando da tratti di vegetazione, ma rada lontana , quasi non volesse far parte di
quel degrado.
Fuori della baracche in apparenza mucchi di cianfrusaglie di ogni
genere accatastate insieme a pile di frutta e patate e gente accucciata con le
braccia allungate sulle ginocchia, appoggiata,
seduta a terra o su minuscoli panchetti
e su e giu’ queste biciclette montate in disequilibrio o tirate a mano con
enormi
carichi caricati. Una umanità che scorre veloce insieme alla
vegetazione e che diventa insopportabile in prossimità di agglomerati pù grandi
dove l’accatastamento delle baraccopoli, i cattivi odori che provengono da
banchetti che affumicano cibo, frammisti alla sporcizia accumulata
indifferentemente nei pressi , la moltitudine di gente in movimento,
rende il panorama brutto
Dobbiamo aspettare qualche decina di chilometri perchè la
vegetazione, seppur non lussureggiante come ci si sarebbe aspettato, prende il
sopravvento sugli insediamenti umani e si comincia ad apprezzarne la
vastità. Non c’è più traffico, ogni
tanto un ridosso per limitare la velocità.
L’asfalto è liscio e si procede bene. Il driver non parla
mentre Fran ci anticipa il programma.
La distanza a Bagamojo è circa 60 km e mi trovo a pensare
che questa strada dritta, ben fatta......
dai cinesi! con tanto di miliari ai lati, è proprio inaspettata!.ma necessaria.
I cinesi infatti stanno costruendo quello che dovrebbe diventare il porto mercantile più grande di tutta l'Africa orientale proprio tra la capitale e Bagamojo
Una deviazione su strada non asfaltata piena di buche, dossi
e crateri ci indica che siamo in prossimità della nostra meta: ecco adesso mi pare di
riconoscere quello che mi aspettavo.
Un cartello indica il Millennium Resort & Restaurant e
dopo un pò di traballo un Masai!
ci apre il cancello del resort del nostro soggiorno il Beach
Resort.
Ci accoglie una ragazza bella e gentile Arlette schierata
insieme ad Eddie un bel ragazzo
possente che si occupa subito delle nostre valigie. Siamo
frastornati dall’accoglienza quasi
da turisti inglesi. Francesca ci aveva raccontato di questo
resort e come aveva sollecitato
i proprietari alla pulizia ed alla preparazione al nostro
arrivo: alle presentazioni non capiamo bene i nomi ma scambiamo i sorrisi ed i
saluti che ci vengono rivolti con una deferenza che ci mette quasi in imbarazzo.
Ci accompagnano alla nostra magione: una stanza molto ampia un po' spoglia ma con quello che serve:
il letto con la zanzariera, un armadio un grande bagno con water e doccia , una maschera in legno.
Fortuna si accomoda immediatamente...... sul letto....., consegnamo a Fran la valigia con le "meraviglie" che
abbiamo portato per lei; ci salutiamo lei andrà a riposare perchè è stanca e per la prima volta ci comunica di
essere un po' ...febbricitante.!
La struttura è sul mare, un paio di caseggiati in muratura, uno per le camere l'altro per la cucina, ed una costruzione in legno enorme a mo' di semi capanna circolare con pali di varia lunghezza e spessore incrociati e incastrati legati con corde vegetali a formare un reticolo la cui ingegneria è sorprendente sia per l'effetto estetico che per la resa strutturale: non smetto di ammirrarne l'abilità costruttiva e cerco di prendere delle foto che diano almeno parzialmente l'idea della complessità e della funzionalità della costruzione che non ha niente da invidiare ai più arditi grattacieli in vetro e cemento, anzi da un punto di vista ecologico ritengo questa molto meno invasiva e quasi più avanzata. Questa costruzione che occupa quasi la metà dell'intero resort è la zona dell'aggregazione , dove si cena - ci sono delle tavolate in legno - si balla e si ascolta la musica e - concessione alla occidentalità - si bevono drink serviti nell'area bar delineata da muretti bassi
e sinuosi intonacati, gli stessi che circondano l'intera zona. L'altra metà è occupata da un giardino con aiuole
faticosamente fiorite e con vialetti sabbiosi che un paziente inserviente alto e smunto dai capelli bianchi pulisce in continuazione con una lunga scopa, vialetti che culminano con enormi panche in legno e fibre disposte di fronte all'oceano che sospira placido al di là dell'ampia e selvatica spiaggia.
L'oceano non è proprio blu anzi la colorazione è quasi....melmosa e non è per niente invitante per un tuffo.
Anzi. Sembra quasi un mare povero che serva solo ad essere solcato da singolari barconi a bilanciere di pescatori: eccone lì uno che fila silenzioso carico di uomini ad un centinaio di metri da riva con l'unica randa spiegata ed a poppa spinta dal movimento di una lunga asta manovrata dal timoniere. Anche questa è una immagine che la mia scarsa abilità di fotografo non riesce a rendere nella sua
duplice essenza di desolazione e maestosità!
Franc ci raggiunge ed insieme facciamo una passeggiata sulla spiaggia: non ci si possono togliere le scarpe perchè la sabbia è ingombra di residui di mareggiate precedenti, sporcizia e tronchi antichi e sbiancati;
Gli alberi e la vegetazione costeggiano
la spiaggia senza soluzione, Fran ce ne indica qualcuno; a riva barconi incavati in tronchi enormi, con remi laterali legati in maniera apparentemente contorta, tirati in secco e distanziati quasi a misura, ma poi più ravvicinate e raccolte intorno ad un barcone più grosso attorniato da persone vocianti: è il cosiddetto mercato del pesce che viene esposto poggiato direttamente sulla sabbia. Qualche fuoco è acceso. Il fumo è nero: non ha niente di pittoresco, piuttosto offre una sensazione di squallore e di povertà.
Non mi va di avvicinarmi. Svicoliamo e torniamo sulla strada.
Siamo ora in quello che è rimasto del quartiere tedesco: costruzioni ormai quasi diroccate ma ormai abitate da persone del posto. Anche qui non è un bel vedere e pian piano ritorniamo sull'arteria principale, polverosa
e confusionaria. A sinistra vengo attirato dal suono di alcuni xilofoni: è una scuola di musica.
Bambini e ragazzi suonano degli strumenti quasi primitivi, intonando un coro: sono raccolti di fronte all'insegnante sotto un enorme BaoBab, intorno un prato raso naturale.Provano, sbagliano e riprovano: una semplicità ed una letizia che riconcilia con il mondo. Mi metto ad un angolo seduto ad ascoltare per qualche minuto.
Rientriamo nel resort e i prepariamo per la cena. Incontriamo le colleghe di Fra. Valentina con cui è partita da Roma a Gennaio, ed altre tre del servizio civile. Tutte ragazze in gamba aperte e competenti.
Per la cena dobbiamo aspettare un po' perchè è andata via la luce - come capita molto spesso dice Fra -
e l'attesa sotto la grande struttura in legno, a lume di candela, è quasi comica. Fra ha ancora la febbre.
E' Eddie che ci serve al tavolo pesce e gamberoni cucinati dal proprietario del resort: un tedesco un po' scorbutico e di poche parole che avevamo incontrato poco prima. Il cibo è buono anche se sotto le aspettative. Un ultimo sguardo al mare e salutiamo Fra a cui raccomandiamo di riguardarsi.
Anche la notte è comica sotto la zanzariera. Io come solito mi devo alzare e accesa la luce lo spettacolo delle innumerevoli zanzare nere tutte poggiate sul velo bianco danno un po' di timore. In realtà ne schiaccio qualcuna che ha già succhiato e quindi la probabilità della malaria è alta. Fortuna non sembra preoccuparsi più di tanto e continua il suo sonno apparente. Tra l'altro l'apertura e la chiusura delle tenda provoca inevitabilmente l'ingresso delle zanzare all'interno. Speriamo bene!. .
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