Cos'è che li fa MUoverE ?

Chi avrebbe detto che una attività così semplice e spontanea - si cammina prima ancora di connettere verbo- poteva determinare una occasione di aggregazione, il ricostituirsi di antiche frequentazioni,risvegliare la voglia di stare insieme e condividere le emozioni di piccole avventure.Eppure guardateli con gli zaini in spalla ripieni di sorprese, attrezzature più o meno consone alla bisogna - animati da spirito di conoscenza, inerpicarsi per boschi e pendii alla scoperta del mondo che li circonda.

Ed allora ci si chiede cos'è che li spinge ad andare ed andare ed andare, cosa cercano, quali le motivazioni.Come al solito è meglio non porsi mai troppe domande:le risposte potrebbero essere deludenti banali scontate.....volgari! Lasciamoli camminare....Non ci interessa dove e perché.

Ci preme che vadano, che vadano ma che vadano pure a...Ecco, appunto!

Brahamana V sec. a.c - Indra esorta Rohita

Non c'è felicità per chi non viaggia, Rohita!
A forza di stare nella società degli uomini,
Anche il migliore di loro si perde.
Mettiti in viaggio.

I piedi del viandante diventano fiori,
la sua anima cresce e dà frutti,
ed i suoi vizi son lavati via dalla fatica del viaggiare.
La sorte di chi sta fermo non si muove.
Allora vai, viaggia, Rohita!
Indra esorta Rohita - (dai Brahamana V Sec. a.c.)

giovedì 24 novembre 2016

Il terzo viaggio in bici - 2013 L'Augustea - 1°Roma - Todi

30 Luglio - Roma-Nazzano
Tutto ci diceva di non partire.
Primo il tempo atmosferico che sembrava prenderci in giro con ampie schiarite e subitanee chiusure a scrosci violenti. La nostra voglia era messa a dura prova: è vero alle 8,30 eravamo in piedi ma l'orizzonte plumbeo
e il fragore dei tuoni non troppo lontani consigliavano un supplemento di riposo a letto.

Certo che la situazione di instabilità non si sarebbe protratta a lungo, mi muovevo come se avessimo rimandato solo di qualche ora. Ed infatti alle due, e forse anche prima senza le prevedibili lungaggini e le immancabili schermaglie, eravamo pronti. Impossibile fare la foto di rito perchè la macchinetta aveva le batterie scariche. Partiamo? Partiamo.Da dietro.
L'aria aveva rinfrescato anche troppo ed io necessitavo della preziosa maglietta della gallina, mentre Fra in completo nero con body blu!

Facile il passaggio da Tor Sapienza ma già al primo bivio iniziano le divergenze: lo so io dove si passa per arrivare a Saxa Rubra ! Non cedo. Porta del Popolo è la porta di uscita, (.....ma se passavamo da Villa Borghese era più bello...) poi la via Flaminia, Tor di Quinto, l'uscita per Labaro e finalmente il temuto accesso alla Tiberina.Tutto liscio. Ora sono circa 17Km di strada ondulata "allietata" qua e là da signorine
diciamo di facili costumi, perlopiù di colore. L'asfalto è un disastro ma per fortuna non c'è traffico. La mia bici nuova fiammante - una Bottecchia crosslite - va come il ventoe non fatico, Fra segue di buon passo.

A Lucus Feroniae comincio a cercare le indicazioni per Nazzano, che non è segnato. Proseguiamo e attraversiamo la zona industriale di Fano, poi superato il paese finalmente la deviazione aspettata.
Fin qui altro che fiume! un panorama povero e desolato accentuato dal grigio del cielo e dell'asfalto, ma dopo una rotatoria e il ponte sull'autostrada , all'improvviso tutto cambia: il cielo si è aperto e c'è il sole,
la strada ampia e in leggera discesa, ci siamo solo noi e l'allegria dell'avventura cominciata.
Arriviamo in breve ai piedi della salita per Nazzano: un tratto impervio che non so se saremmo stati in grado di salire. Ci fermiamo proprio davanti agli uffici amministrativi dell'area protetta di Tevere Farfa.

Proviamo a chiamare l'Agriturismo prenotato ed Aurora ci conferma che potrebbe essere possibile evitare la salita percorrendo l'argine del Tevere, ma c'è stata una frana e bisogna superare un tratto impervio.
La guardia del parco ci dà il suo consenso a "nostro rischio" e pericolo (lui non ci ha visto!)
Ci avventuriamo timorosi e in bello stile superiamo due tronchi crollati sul sentiero con le radici divelte che ostacolano il passaggio.Tutto qui?! Meno male! Secondo tronco e poco più in là...ah eccola la frana...
La massa di fango si è staccata dal declivo ed ha invaso il sentiero rendendo impossibile il passaggio delle bici. Dobbiamo sollevarle e caricarcele a mano...cercando soluzioni che non concordiamo mai! Chiama Juan con la sua notoria tempestività e abilità nel cogliere il momento. Sono preoccupato per la mia nuova bici.: ho paura di scivolare nel fiume con tutto il carico ma di più di rovinare ingranaggi e cambio. Ma non possiamo tornare indietro, come sugli scogli. Con sforzo enorme passo la mia ma per quella di francy decidiamo di togliere tutti i bagagli. L'avessimo fatto prima ! Con l'aiuto di uno jogger passa anche quella di Fra e con un po di tremarella rimontati i pacchi, riprendiamo il sentiero.

L'Agriturismo è qualche centinaio di metri più avanti ed anche se stanchi morti ed infangati, di più le bici,
arriviamo. Aurora è una secca spilungona nera di capelli e molto cordiale.
Vive lì con la madre e la sorella. Ha rilevato la struttura da qualche anno e si occupa di tutto dall'amministrazione all'orto. Il manufatto è un vecchio deposito di un mulino sul Tevere, che è stato ristrutturato per farne un ostello della gioventù e poi dato in gestione a privati.
Ha un'ampia area esterna con tavolini sotto un pergolato, al cui riparo mettiamo le bici, mentre la hall
è un misto di arredi hippies : cravatte appese, bamboline di pezza, poster e disegni lasciati da ospiti riconoscenti alle pareti, peluche sparsi che due bei canoni neri trascinano per ogni dove, un cesto di paglia
con ancora bamboline in vendita ed offerte "hand made" da una associazione anch'essa evidentemente naif.
Vendono anche generi alimentari biologici  di loro produzione:vino olio, pasta fatta in casa, verdure....
Questa è solo la Hall, un ambiente piuttosto piccolo, dietro c'è un ampia sale mentre le scale portano alle
camere. Aurora ci chiede se vogliamo cenare , ed accettiamo subito chiarendo però i nostril limiti di spesa.

Ci accordiamo . La stanza, la 22 è al secondo piano. E' ampia e spaziosa, adatta ad una famiglia, con un soppalco con letto e bagno e la agognata doccia. Ottimo. Siamo pronti per la cena che consumiamo nella
sala grande. Eccellente: antipasto di verdure stufate per la gioia di Fra, per me un piatto di fettuccine con funghi, fiori di zucca e basilico, per Fra un pollo petto e due cosce alla sacrofano!  ma senza peperoni che non digerisce, e quindi spinaci lessati ; 1/2 litro di vino che ci spaparacchiamo e fette di cocomero!
Sembrava ci conoscessero da sempre. La cuoca è la madre. Bravissima.

In fondo alla sala si tiene una riunione per "rivitalizzare l'area protetta": partecipano un rappresentante del wwf, alcuni dal comune, operatori economici, come Aurora, amici e simpatizzanti.
L'oggetto del dibattito è proprio la frana e lo stato di abbandono e poca manutenzione di una delle più grandi riserve della Regione Lazio. L'argomento è interessante ma a me è sembrato di sentire linguaggi e cadenze sessantottine. Chissà se quaglieranno.
Buonanotte!

giovedì 14 aprile 2016

Il nostro viaggio in Africa - 4°

Questa mattina siamo noi a raggiungere Fra nella sua abitazione che condivide con le altre ragazze dell'Ong.

La costruzione in muratura è datata ed in condizioni non floride ma sembra solida: è una specie di grande villa che deve sicuramente aver visto tempi migliori; all'interno però è evidente lo stato di quasi abbandono e deterioramento che, nonostante i tentativi delle ragazze, prime fra tutte Fra e Vale, si vede nei muri nelle suppellettili nel pavimento. Anche se piuttosto buia la casa è grande: la cucina, con stoviglie ammucchiate vicino ad un grande lavabo con bottiglioni d'acqua da 25 e 30 litri sparsi e stipati tra ciabatte e residui;
una zona soggiorno dove le ragazze stanno tentando di costruire una biblioteca, con un tavolo basso davanti ad una TV che funziona solo per vedere dvd. Francesca è lì che sta facendo colazione e ci accompagna attraverso uno stretto e buio corridoio alla camera da letto piuttosto grande con tre lettini coperti dalle zanzariere e una confusione di vestiti mutande notebook  phon scarpe libri ecc in ogni dove. Ci fa vedere anche il bagno che hanno sistemato e la doccia primitiva, che possono fare quando c'è l'acqua: rispetto alle foto che ci aveva inviato all'inizio questo sembra il gabinetto di una principessa.
E questo nonostante le opposizioni della curatrice della Ong all'acquisto di suppellettili degne!

Stiamo aspettando l'autista che ci accompagnerà a Dar Es Salam, e che si presenta poco dopo; una sosta
alla sede dell'Ong - una palazzina discreta in una zona residenziale tranquilla e pulita, con un bel courty
yard  - e quindi via a ritroso verso la capitale. La trasferta procede senza intoppi fino alla periferia della città
dove il traffico comincia ad ingrossarsi ed il rumore ed il caos ad innalzarsi. Ma questo non sembra disturbare il nostro autista che placido procede rassegnato. Arriviamo all'ospedale: una grande costruzione
moderna ed ariosa, che brulica di gente. Ci dirigiamo verso il pronto soccorso intasato da donne in sahri per lo più nero,ma anche colorati, alcune completamente velate, altre che indossano solo il chador, diverse invece con l'abbigliamento occidentale.
Ci sono quattro o cinque salette chiuse da tende e Fra cerca di parlare con una infermiera cicciotta per farle capire la nostra urgenza e le sue condizioni febbricitanti. C'è da aspettare. Finalmente la fanno accomodare in una di quelle salette: Fra sembra aver sfebbrato e stesa su un lettino parla con un giovane medico aitante.
Mi danno dei fogli con la prescrizione delle medicine che vado a comprare nella farmacia dell'ospedale.
Francesca viene dimessa, il check per la malaria è negativo, non ha febbre, chiedo al medico notizie per la Dengue ma credo di capire di non preoccuparsi. In realtà, scopriremo poi, non ha fatto nessun test per la dengue. E' pomeriggio inoltrato, e recuperiamo l'autista che per tutto quel tempo - oltre sei ore - è rimasto da qualche parte ad aspettare. Torniamo verso Bagamojo che è ormai buio. Il brulicare di persone ai margini della strada è impressionante: sostiamo in una di queste aree in attesa di un altro autista che sta arrivando con un DalaDala. Alcune luci al neon di un "negozio" di articoli tecnici, cellulari e televisori, il via vai di persone e di mezzi di tutti i tipi alcuni caricati all'inverosimile, i fumi che fuoriescono dalle bancarelle che vendono cose da mangiare, rendono l'atmosfera un po' sinistra a metà tra la festa di paese e le giostre di periferia, ma il nostro uomo ci allerta  sulla destrezza di giovani rapinatori.

A Bagamojo era in programma per questa sera una apericena con la focaccia che aveva portato Fortuna e che Fra ha voluto condividere con tutti gli altri e la birra. Ho potuto conoscere così Juan e scambiare con le altre ragazze opinioni sull'efficacia delle azioni delle Ong comparata con quelle di operatori di grandi opere come i cinesi. Ci congediamo con brindisi e auguri per il nostro Safari: domani infatti lasceremo Bagamojo per Arusha porta di ingresso ai grandi Parchi.
Prima di andare a dormire Fra mi accompagna al bancomat con una di quelle motorette che avevo visto spesso raggruppate ai margini delle piazze: è questa un'altra caratteristica della zona. Funzionano infatti come mezzi pubblici veloci ed economici, e così saliamo in tre e rapidamente andiamo e torniamo.    

sabato 9 aprile 2016

Il nostro viaggio in Africa - 3

Bagamojo -

La colazione a base di frutta, mango e piccole banane fritte ci viene servita dal solito gentilissimo Eddie nella struttura di legno. Il mare  piatto, di un colore indefinito tra il grigio e l'oleoso, è solcato da un Mtumbwi
una di quelle piroghe allungate stipata non si sa bene se di pescatori o passeggeri: scivola via silenziosa, come tutto intorno.
L'addetto alla pulizia del giardino rimuove foglie e sporcizia con movimenti lenti del suo lungo attrezzo, non di malavoglia ma con indolenza, quasi conscio della scarsa possibilità di vittoria; è un uomo anziano e mi guarda con occhi grandi e lucidi, sorridenti.
Aspettiamo Francesca che ritarda perché ancora non le è passata la febbre, non abbiamo nessuna fretta e quando arriva è al solito positiva e carica di energia....o forse no.
Facciamo una passeggiata prima al monumento con un grande croce in ferro detto La porta della Missione Madre : è qui infatti che sbarcarono i primi missionari ed è qui che costruirono la prima cappella cristiana -  poi alla missione cattolica dove dovrebbe esserci un sanatorio e Fra può fare il test della malaria.
Siamo inseguiti da Barnaba che ci chiede notizie dei soldi: lo rassicuro di aver provveduto al bonifico del saldo. Questo episodio infastidisce Fra che ci allerta sulla doppiezza del personaggio.

La missione cattolica è situata alla periferia nord e ci si arriva percorrendo un lungo viale alberato di alberi di mango  e costruzioni basse: è frequentata da bambini e bambine nella divisa della scuola, che vociano allegramente rincorrendosi.
Nello spiazzo antistante l'ingresso....del museo etnico, a pagamento,  c'è il famoso Baobab piantato alla fine dell' '800 in ricordo della fondazione della missione. Il signore del museo ci fa notare alla base dell'enorme albero delle catene  a cui erano legate delle oche.e che ora che il baobab è cresciuto sono in parte interrate tra le radici. Nella missione c'è il Livingstone Tower dove sostarono le spoglie di Livingstone, prima di essere trasferite in Inghilterra .

Bagamojo è stata sotto la dominazione araba nella prima metà del primo millennio ed il suo porto  acquisì importanza grazie al commercio di sale ed avorio verso la fiorente isola di Zanzibar ; successivamente quel commercio si tramutò in quello di esseri umani,  la tratta degli schiavi,che prosegui'  fino alla fine del 1800. Bagamojo in swahili significa " il posto dove lasci il cuore" riferito
probabilmente al cuore di quegli uomini e donne che non avrebbero più rivisto la loro terra.
Il Museo della Missione è forse il più importante di tutta l'Africa Orientale, perché qui insieme ad oggetti etnici, manufatti in legno e descrizioni delle arti e delle erbe degli stregoni, e fotografie dei re, è illustrata la storia della tratta degli schiavi con le indicazioni del numero incredibile di persone che prelevate dai propri villaggi all'interno, dopo marce estenuanti, giungevano a Bagamojo per essere vendute.
Ancora oggi sono visibili, la piazza della tratta e le catene nel porto, ormai abbandonato.

Con Francesca arriviamo fino alla chiesa nuova, chiusa, dove siamo attratti da una distesa interminabile di palme mosse dal vento, che cerchiamo di riprendere con la nostra canon.
Il sanatorio è chiuso - o non ha i reagenti per la malaria - per cui dopo la visita torniamo nel centro della città dove cè un "ospedale".

Bagamojo è una cittadina di oltre 40.000 abitanti e per la prima volta vedo le condizioni in cui vivono
la maggior parte di queste persone. La macchina che ci accompagna traballa per le profonde buche della strada di fango: le case poste ai lati sono tuguri grigi in mattoni di paglia e fango rialzate rispetto alla strada, accatastate una accanto all'altra apparentemente senza una logica razionale, creando un intrico di vicoli piccoli, minuscoli in cui scorrazzano a piedi nudi bimbi sudici; sulle soglie sedute accovacciate donne vestite con gonne e magliette occidentali, spettinate pescano con le mani in ciotole di metallo il loro desinare, altre appoggiate allo stipite fumano sigarette oppure osservano semplicemente o chiacchierano a voce alta da un lato all'altro della strada, altre ancora tirano secchiate d'acqua sul pavimento verso l'esterno e la tirano via con una grossa scopa. Per i vicoli starnazzano libere galline e oche e fumi e cattivi odori impregnano l'aria, rivoli di acqua sporca scorrono lungo la strada o riempiono stagnanti le buche,   l'impressione generale è di un caotico degrado, che però non sconvolge, è quasi ineluttabile ed atteso. La malaria forse è il meno pericoloso dei mali.
Le abitazioni si alternano alle botteghe: un raccoglitore di ferraglia è accanto ad un macellaio che espone i suoi quarti  seccati  e putridi all'aria, preda delle mosche. Più in la' un venditore di carbone con i grossi sacchi bianche che abbiamo imparato a vedere. Più belli e ben messi i rivenditori di ananas e mango che raccolgono in ardite e precarie geometrie la loro mercanzia: e così  allineano costruzioni piramidali e coniche, oppure ....... di ananas ad incorniciare tutt'intorno il banchetto.
C'è anche un venditore di tabacco e fumo, ma non tutti sono disposti ad essere ripresi così cerco di rubare discretamente qualche foto.
Finalmente l'auto si ferma: per raggiungere l'ospedale bisogna proseguire a piedi: lo fa Francy e la seguo. Sembra incredibile che in mezzo a quella sporcizia possa esserci un "ospedale" ed infatti non c'è: quello dove entra Francesca è un caseggiato come gli altri solo più grande e chissà se più pulito!
Ci sono una serie di stanze, senza porte, oppure con la porta aperta: un giovane è allettato avvolto da lenzuola bianche: penso all'HIV ! Ma è sicuro quel posto? Aspetto Francesca in una specie di cortile neanche troppo brutto. Esce dopo poco. La malaria non ce l'ha! Che c'ha? cos'è che le procura la febbre? Come al solito lei sminuisce la gravità e si lancia nella situazione successiva.
Passiamo davanti alla "Sede dell' Associazione" una casa come le altre, intonacata di bianco, 3 metri per tre  con due banchi e due sedie ed un computer, affogata e senza aria dove viene salutata calorosamente da alcune ragazze che si trovano all'interno: è questo il luogo dove dovrebbe passare i
prossimi sei mesi del suo volontariato, tra gli scrosci di pioggia e le temperature sopra i 40°!

Usciamo finalmente da quell'agglomerato allucinante che mi ha fatto ricordare i campi nomadi a Roma e, confortati dall'esito dell'analisi di Francesca,  con la macchina ci avviamo a visitare altri posti. Usciamo dalla cittadina e camminiamo per una strada non più asfaltata ma non polverosa:
lungo i margini ed immersi nel bosco, distanziati l'uno dall'altro ancora questi caseggiati rettangolari, fatti di terra rossa che si confonde con la  terra , recintati  con canne o con mezzi copertoni di auto interrati, con lo spiazzo per gli animali che sbucano dalle case, e l'orto coltivato.
Abitazioni più povere ma apparentemente molto più dignitose e pulite di quelle della mattina.
Un paesaggio molto più simile all'iconografia africana che uno si aspetta, più sereno, anche perché stiamo passando attraverso la foresta e la luce del pomeriggio che filtra dagli alberi produce una Kaolecolorazione pastello diffusa . Arriviamo ad una località che si chiama Kaole: è una zona archeologica con resti della presenza musulmana, una moschea ed altro. L'area di ingresso è ben
ordinata con vialetti segnati da pietre, ma anche questo è a pagamento e poiché non sembra particolarmente interessante, soprassediamo. Mi avvicino per fotografare due grandi Baobab ma vengo redarguito da un guardiano: sono sacri, e desisto rispettoso, anche se la foto l'ho già
fatta....
Riprendiamo la marcia, attraversiamo un paio di villaggi che sembrano ben messi e organizzati
ed arriviamo in una località che le ragazze hanno soprannominato il Paradiso: si accede attraverso una stradina in discesa sabbiosa che crea qualche piccola difficoltà a Fortuna, ma lo spettacolo è veramente da paura: siamo nel delta del fiume Ruvu dove questo incontra il mare......la sabbia bianca e setosa fa risaltare l'acqua marina cristallina di un verde smeraldo intenso dovuto alla vegetazione di mangrovie di un isolotto che si erge al largo  poco distante. Sulla spiaggia ampia sono attraccate le caratteristiche barche dei pescatori che ho scoperto chiamarsi......... Questi sono accovacciati sulla sabbia al riparo della vegetazione intenti  a selezionare il pesce che hanno appena pescato: ce n'è uno grande che sembra un pescespada. Poco più in là un Baobab come solito enorme a cui cerco di abbarbicarmi per una foto....indimenticabile!
E' vero, sembra un paradiso.
I pescatori sono sorpresi dall'apprendere che Francesca non è sposata e va in giro con i genitori!
E' vero, un'altra cultura.

Torniamo al resort che è pomeriggio inoltrato: mi siedo sulle panchine in riva al mare e poco dopo faccio la conoscenza fugace delle compagne di Francesca.
A cena andiamo al PoaPoa un localino niente male accompagnati da uno degli spasimanti di Fra:
è anche lui del Burundi come la compagna del tedesco del resort, ed ha anch'egli in progetto di costruire e gestirne uno suo. E' molto gentile ed ossequioso con noi ed ha una faccia simpatica anche se un po' troppo magro per i miei gusti. Il locale è un po' rasta, ceniamo all'aperto con la cucina a vista là in alto. Francesca è molto stanca ....la febbre non le da tregua. Domani andremo all'ospedale a Dar es Salam!
Juan, il capo missione dell'ong, vuole vederci chiaro: nella capitale c'è infatti una epidemia di Dengue e vuole sincerarsi che Fra non ne sia vittima.

      


               
 

martedì 22 marzo 2016

Il nostro viaggio in Africa - 2°

31 Maggio 2014 - Valigie chiuse ed un salto al market  per l’ultimo regalino : troviamo un set di matite colorate per i bambini, All’uscita un temporale – proprio da dire Tropicale! – ci investe con palline di grandine pesanti; strade allegate. Non sembra un buon auspicio.
Ma presto come è arrivata la perturbazione se ne va e siamo pronti, dopo le ultime raccomandazioni , a dirigerci verso l’aereoporto. E’ sabato,la strada è piuttosto libera e  non impieghiamo molto ad arrivare. l check in è veloce: in fila siamo dietro ad una signora araba piuttosto elegante in un sahri setoso lungo e brillante e, dal tipo di valigie, facoltosa.

Ultime formalità, baci e abbracci , via al gate e quindi sull’aereo un 747.
Forse non a caso la signora della fila occupa il terzo sedile della nostra fila: Fortuna si prende il finestrino e quindi io sono incastratao tra queste due signore!  Scambio qualche parola con la signora che va proprio a  Dar es Salam: un contatto prezioso per il cambio al Cairo.

E’ una persona molto cordiale a dispetto dell’abbigliamento ortodosso, e mi racconta di vivere a Roma, sulla Cassia, con la madre da più di 25 anni; sta andando dal marito che lavora nell’edilizia,
attualmente stanno costruendo una cisterna per l’acqua. Lei è originaria del Mozambico ma ha studiato a Firenze ed è laureata in agraria, ha lavorato per una agenzia della Fao al World Food Program , ma ora è retired. Non ha figli in compenso ha più cittadinanze – oltre a quella italiana e africana – ha vissuto per qualche tempo a Vancouver che giudica regione migliore di quella di Montreal.
Certo io non posso competere con i miei spostamenti da Meda ad Astura a Collatina.....
 La sua compagnia è piacevole e sembra avere una lunga esperienza con la Egypt Air.

Ci portano la cena in un pocket efficace e compatto: pollo insalata biscotti, acqua e caffe’: ho mangiato tutto e non era male.

Il transfer al Cairo è più semplice dei miei timori anche grazie alla discreta assistenza della Sig.ra Sofia – ora conosciamo il nome – che si offre anche per darci una mano a Dar es Salam: il nostro appuntamento era a  a Bagamojo, perchè saremmo arrivati troppo presto, e quindi ci saremmo dovuti arrangiare con un taxi, ed io manifestavo le mie preoccupazioni non solo per la lingua ma, e soprattutto, per le tasche. 
Sofia infatti mi aveva messo in guardia sui tassisti abusivi e i faccendieri che come in tutto il mondo cercano di aprrofittare del turistra sprovveduto.

Il volo per Dar è stato meno piacevole: abbiamo sofferto il freddo della notte. 
Ancora buio siamo arrivati in vista della città : dall’alto immensa con lunghi viali
trafficati già a quell’ora da striscie gialle e rosse. Il mare nero.

Scesi abbiamo perso di vista  Sofia e la sua assistenza – ci aveva anticipato che le formalità di ingresso per gli...extra africani si sarebbero protratte per più di un’ora – ma poi si ripresenta  e con
estrema normalità mi chiede il numero di Francesca per mettermi in contatto con lei. e ci fornisce il suo a Dar per qualsiasi evenienza: Veramente gentile, chissà in quanti l’avrebbero fatto. .

Sentire la figliolina così vicino mi emoziona; sarebbe arrivata entro un’ora quindi tutto a posto.
Salutiamo Sofia che oltrepassa la dogana mentre noi insieme a pochi altri non africani siamo in attesa del visto di ingresso in una sala d’attesa spartana con sportelli vetrati dietro cui funzionari di polizia dai volti simpatici con estrema calma e lentezza visionano seriosi carte e timbri. Viene il nostro turno, paghiamo i 50$ cadauno e ci prendono le “impronte digitali” : ma anche noi facciamo così?
Dopo dieci minuti ci rilasciano il visto...entriamo in AFRICA!

Carichiamo le valigie sul carrello ed usciamo e proprio li di fronte Fra 
 si sta sbellicando dalle risate – ed in effetti dobbiamo essere un po’ comici:  è lì da un bel poì e, come aveva supposto Fortuna, ci ha fatto lo scherzetto.
E’ bellissima con una camicetta rossa,è lì pronta ad accoglierci con un cartello improvvisato su un pezzo di cartone: la commozione è tanta e ci scappa la lacrimuccia.

E’ partita stamattina alle quattro e mezzo da Bagamojo con il taxi che ha preso tramite Barnaba e che gli costa a/r  80.000 tzs: è una vecchia opel sporca ed ammaccata , più sporca dentro.
Il tassista di poche parole, la guida è a destra..

La luce livida della mattina si adegua ad uno spettacolo per niente attraente in queste prime ore africane. 
La strada è molto larga con poco traffico – è domenica – ma si vede di tutto: i famosi
“dalla dalla”  le corriere locali, carretti con polli, matti in bicicletta con enormi sacchi bianchi pieni di carbone caricati sul didietro – e non si capisce come riescano a mantenere l’equilibrio – passaggi con il rosso senza problemi, attraversamenti e motorini, manovre a rischio.
Il cielo è plumbeo, la strada seppur asfaltata è polverosa, ai lati la terra rossa;  palazzi e costruzioni di cemento decorose ma comunque datate, si alternano ad altre fatiscenti. La prima impressione è di sporcizia e degrado, piuttosto deludente: sembra una periferia napoletana solo più grande. Niente fa pensare che stiamo in Africa!

1 Giugno – Domenica

Anche l’autista sembra sporco : non è nero è marrone. Piano piano usciamo dalla città e la strada
si restringe a due corsie e ai lati una sequenza senza soluzione di baracche fatiscenti con tetti di lamiera e muri di terra rossastra interrotti di quando in quando da tratti di vegetazione, ma  rada lontana , quasi non volesse far parte di quel degrado.
Fuori della baracche in apparenza mucchi di  cianfrusaglie di ogni genere accatastate insieme a pile di frutta e patate e gente accucciata con le braccia allungate sulle ginocchia, appoggiata,  seduta a terra  o su minuscoli panchetti e su e giu’ queste biciclette montate in disequilibrio o tirate a mano con enormi
carichi caricati. Una umanità che scorre veloce insieme alla vegetazione e che diventa insopportabile in prossimità di agglomerati pù grandi dove l’accatastamento delle baraccopoli, i cattivi odori che provengono da banchetti che affumicano cibo, frammisti alla sporcizia accumulata indifferentemente nei pressi , la moltitudine di gente in movimento, rende il panorama brutto

Dobbiamo aspettare qualche decina di chilometri perchè la vegetazione, seppur non lussureggiante come ci si sarebbe aspettato, prende il sopravvento sugli insediamenti umani e si comincia ad apprezzarne la vastità.  Non c’è più traffico, ogni tanto un ridosso per limitare la velocità.
L’asfalto è liscio e si procede bene. Il driver non parla mentre Fran ci anticipa il programma.
La distanza a Bagamojo è circa 60 km e mi trovo a pensare che questa strada dritta, ben fatta......
dai cinesi! con tanto di miliari ai lati,  è proprio inaspettata!.ma necessaria. 
I cinesi infatti stanno costruendo quello che dovrebbe diventare il porto mercantile più grande di tutta l'Africa orientale proprio tra la capitale e Bagamojo 

Una deviazione su strada non asfaltata piena di buche, dossi e crateri ci indica che siamo in prossimità della nostra meta: ecco adesso mi pare di riconoscere quello che mi aspettavo.
Un cartello indica il Millennium Resort & Restaurant e dopo un pò di traballo un Masai!
ci apre il cancello del resort del nostro soggiorno il Beach Resort.
Ci accoglie una ragazza bella e gentile Arlette schierata insieme ad Eddie un  bel ragazzo
possente che si occupa subito delle nostre valigie. Siamo frastornati dall’accoglienza quasi
da turisti inglesi. Francesca ci aveva raccontato di questo resort  e come aveva sollecitato
i proprietari alla pulizia ed alla preparazione al nostro arrivo: alle presentazioni non capiamo bene i nomi ma scambiamo i sorrisi ed i saluti che ci vengono rivolti  con una deferenza che ci mette quasi in imbarazzo.

Ci accompagnano alla nostra magione: una stanza molto ampia un po' spoglia ma con quello che serve:
il letto con la zanzariera, un armadio un grande bagno con water e doccia , una maschera in legno.
Fortuna si accomoda immediatamente...... sul letto....., consegnamo a Fran la valigia con le "meraviglie" che
abbiamo portato per lei; ci salutiamo lei andrà a riposare perchè è stanca e per la prima volta ci comunica di 
essere un po' ...febbricitante.!

La struttura è sul mare, un paio di caseggiati in muratura, uno per le camere l'altro per la cucina, ed una costruzione in legno enorme a mo' di semi capanna circolare  con pali di varia lunghezza e spessore  incrociati e incastrati legati con corde vegetali a formare un reticolo la cui ingegneria è sorprendente sia per l'effetto estetico che per la resa strutturale: non smetto di ammirrarne  l'abilità costruttiva e cerco di prendere delle foto che diano almeno parzialmente l'idea della complessità e della funzionalità della costruzione che non ha niente da invidiare ai più arditi grattacieli in vetro e cemento, anzi da un punto di vista ecologico ritengo questa molto meno invasiva e quasi più avanzata. Questa costruzione che occupa quasi la metà dell'intero resort è la zona dell'aggregazione , dove si cena - ci sono delle tavolate in legno - si balla e si ascolta la musica e - concessione alla occidentalità - si bevono drink serviti  nell'area bar delineata da muretti bassi 
e sinuosi intonacati, gli stessi che circondano l'intera zona. L'altra metà è occupata da un giardino con aiuole 
faticosamente fiorite e con vialetti sabbiosi che un paziente inserviente alto e smunto dai capelli bianchi pulisce in continuazione con una lunga scopa, vialetti che culminano con enormi panche in legno e fibre disposte di fronte all'oceano che sospira placido al di là dell'ampia e selvatica spiaggia.

L'oceano non è proprio blu anzi la colorazione è quasi....melmosa e non è per niente invitante per un tuffo.
Anzi. Sembra quasi un mare povero che serva solo ad essere solcato da singolari barconi a bilanciere di pescatori: eccone lì  uno che fila silenzioso carico di uomini ad un centinaio di metri da riva con l'unica randa spiegata ed a poppa spinta dal movimento di una lunga asta manovrata dal timoniere. Anche questa è una immagine che la mia scarsa abilità di fotografo non riesce a rendere nella sua 
duplice essenza di desolazione e maestosità!
Franc ci raggiunge ed insieme facciamo una passeggiata sulla spiaggia: non ci si possono togliere le scarpe perchè la sabbia è ingombra di residui di mareggiate precedenti, sporcizia e tronchi antichi e sbiancati;
Gli alberi e la vegetazione costeggiano 
 la spiaggia senza soluzione, Fran ce ne indica qualcuno; a riva barconi incavati in tronchi enormi, con remi laterali legati in maniera apparentemente contorta,  tirati in secco e distanziati quasi a misura, ma poi più ravvicinate e raccolte intorno ad un barcone più grosso attorniato da persone vocianti: è il cosiddetto mercato del pesce che viene esposto poggiato direttamente sulla sabbia. Qualche fuoco è acceso. Il fumo è nero: non ha niente di pittoresco, piuttosto offre una sensazione di squallore e di povertà.
Non mi va di avvicinarmi. Svicoliamo e torniamo sulla strada. 

Siamo ora in quello che è rimasto del quartiere tedesco: costruzioni ormai quasi diroccate ma ormai abitate da persone del posto. Anche qui non è un bel vedere e pian piano ritorniamo sull'arteria principale, polverosa
e confusionaria. A sinistra vengo attirato dal suono di alcuni xilofoni: è una scuola di musica. 
Bambini e ragazzi suonano degli strumenti quasi primitivi, intonando un coro: sono raccolti di fronte all'insegnante sotto un enorme BaoBab, intorno un prato raso naturale.Provano, sbagliano e riprovano: una semplicità ed una letizia che riconcilia con il mondo. Mi metto ad un angolo seduto ad ascoltare per qualche minuto.

Rientriamo nel resort e i prepariamo per  la cena. Incontriamo le colleghe di Fra. Valentina con cui è partita da Roma a Gennaio, ed altre tre del servizio civile. Tutte ragazze in gamba aperte e competenti.

Per la cena dobbiamo aspettare un po' perchè è andata via la luce - come capita molto spesso dice Fra -
e l'attesa sotto la grande struttura in legno, a lume di candela, è quasi comica. Fra ha ancora la febbre.
E' Eddie che ci serve al tavolo pesce e gamberoni cucinati dal proprietario del resort: un tedesco un po' scorbutico e di poche parole che avevamo incontrato poco prima. Il cibo è buono anche se sotto le aspettative. Un ultimo sguardo al mare e salutiamo Fra a cui raccomandiamo di riguardarsi.

Anche la notte è comica sotto la zanzariera. Io come solito mi devo alzare e accesa la luce lo spettacolo delle innumerevoli zanzare nere tutte poggiate sul velo bianco danno un po' di timore. In realtà ne schiaccio qualcuna che ha già succhiato e quindi la probabilità della malaria è alta. Fortuna non sembra preoccuparsi più di tanto e continua il suo sonno apparente. Tra l'altro l'apertura e la  chiusura delle tenda provoca inevitabilmente l'ingresso delle zanzare all'interno. Speriamo bene!.   .
     



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venerdì 5 febbraio 2016

Il nostro viaggio in Africa - 1°

Il nostro viaggio in Africa.


L’Africa è il mito. Ho sempre indugiato ad andare quasi per la paura di restarne deluso.
In realtà le situazioni “ambientali” non sono mai state favorevoli.
Tempo, costi, ragazzini hanno sempre fatto si che il mito restasse tale e ,tutto sommato,
senza nessuna voglia che il sogno non restasse sogno.
Non un rimpianto, semplicemente una cosa più grande.
Non mi piaceva che altri ne parlassero, anzi mi infastidiva che banalizzassero l’esperienza.

Era un pezzo ormai che l’organizzazione dei viaggi per il mondo, da me vagheggiati – novello Bonatti – fossero relegati nella sfera delle possibilità mancate. Gli impegni, per lopiù finanziari, non consentivano più
certi voli pindarici, anzi non  permettevano proprio di volare! Solo con la fantasia.
E così il viaggio in camion Roma – Pechino, quanto l'ho delusa  su questo; il giro del mondo via terra attraversando la Siberia; la TransPacifica fino alla Terra del Fuoco e la risalita poi
fino in Brasile; Il viaggio mistico in India nei treni con cuccette per collegare città distanti giorni; L’America degli indiani e dei cow boys: dal Sud Dakota – anzi dal Michigan e da Chicago - fino all’Arkansas....
Quaderni e fogli pieni di date e distanze da percorrere ed itinerari scritti e costi di alberghi e trasporti  convinto che prima o poi....., ma poi la consapevolezza che servivano solo a non sprofondare nella insensatezza della vita quotidiana.

Per l’Africa non avevo mai preparato niente. Non avevo mai immaginato nessun viaggio.
Troppo grande. Distanze interminabili. Guerre. Foreste intricate. Deserti e malattie....

Ho coltivato un’idea romantica del  “continente nero”: una terra dove i colori fossero più colori, la terra rossa, il blu più blu del cielo, la natura eccessiva inviolata e inviolabile, il deserto ed i suoi miti,  gli animali nelle savane sconfinate, gli uomini e le capanne tonde con le loro danze in cerchio intorno al fuoco.....Lo spazio immenso sinonimo di libertà.
Un film visto di recente, una denuncia della guerra per i diamanti insanguinati, nelle sequenze iniziali effettua un volo panoramico di diversi minuti sui monti della Sierra Leone, alla luce dell’alba – o di un tramonto: ecco in quelle immagini ho riconosciuto la mia Africa.

Ma è quella l’Africa?

Tutti sappiamo che no, ed in uno scritto di qualche anno fa elencavo una cinquantina di categorie di sciacalli che a vario titoli hanno fatto scempio dell’Africa e degli africani: imperi coloniali, mercanti di morte e di armi, per passare ai missionari e chiudere, anzi non chiudere,con le Ong ed il Fmi che ha l’impudicizia di ritenere di poter “aiutare” quelle popolazioni, a cui non si riconosce un briciolo di dignità.
L’ “ORRORE” della Tenebra di Conrad forse si riferiva  allo stupro di territori e popolazioni che le sedicenti nazioni civili, l’occidente, hanno perpetrato in Africa   
Oggi si continua a saccheggiare ma evidentemente, camuffati da aiuti e con il beneplacito delle organizzazioni internazionali, quegli stupri, la tratta dei nuovi schiavi, la fomentazione di guerre civili per vendere armi e destabilizzare un ordine che non li riguarda,  non fanno più orrore.


Lei nel suo desiderio di conoscere direttamente le realtà, di cui ha letto e scritto, si è affidata
ad una organizzazione che per qualche motivo, perlopiù oscuro, era inserita tra le Onlus! finanziate dal FocSiv – struttura italiana  che finanzia  progetti nel terzo e quarto mondo –


Il progetto per cui  era stata selezionata prevedeva il suo trasferimento per un anno
in Tanzania – a Bagamojo – uno dei paesi più poveri dell’Africa sub-equatoriale.  
Francesca, se e quando vorrà , scriverà di questa sua esperienza.
Noi eravamo eccitati quanto lei e con una bella dose di incoscienza, perchè totalmenti ignoranti dei pericoli potenziali a cui sarebbe potuta andare incontro.
E perciò insieme a lei a studiare dati e informazioni su questo paese Bagamojo e sulla Tanzania.

La prima notizia importante era che Bagamojo non era un semplice villaggio, ma una città di oltre 40.000 abitanti, distante una sessantina di chilometri dalla capitale Dar Es Salam, che tradotto dall’arabo sta per  “Casa della pace”, che invece ne conta quasi un milione e mezzo: quindi altro che Africa sperduta.
Il secondo dato era che la Tanzania è zona endemica per la malaria, infezione lì responsabile di un numero importante di decessi all’anno, specialmente tra i bambini e le donne in gravidanza.
Un’altra notizia, questa volta buona, è che Bagamojo si trova in riva all’Oceano Indiano: un porto importante nel passato sia per merci come avorio e  sale che per la tratta di schiavi:
da qui infatti partivano per il Nuovo Mondo, le navi cariche di schiavi.

Ricordo le sensazioni e il suoeccitamento  prima della partenza.
Si era a cavallo delle feste natalizie ed in quella occasione l’opportunità di annunciare a parenti e amici assumeva quasi un rito di presa di coscienza: sarebbe partita per l’Africa per un periodo di un anno, in una delle nazioni più depresse, a fare volontariato in un progetto che avrebbe coinvolto donne e bambini. Alte le aspettative, forte l’emozione, grande l’orgoglio per essere stata scelta:
un riconoscimento delle importanti competenze raggiunte ed esperienze acquisite.
Al contrario banali gli apprezzamenti, inutili i commenti, stolide le osservazioni di un audience ignorante che riteneva di poter comparare esperienze!    

La sera della partenza e poi all’aereoporto, tranquilla e professionale come una veterana,
consolava le lacrime della sua commate: non lasciava trasparire emozioni particolari,
non sembrava subire il trauma di una separazione così prolungata.
Avrebbe confessato poi, forse anche a se stessa, che non era proprio così.

Ecco come è nata, completamente inaspettata, l’occasione del viaggio in Africa.
Era infatti pacifico che non avremmo potuto lasciar passare troppo tempo senza vedere
la nostra “bambina”, ed anche se le tecnologie di comunicazione consentivano, senza spese,
un contatto,anche visivo, pressocchè quotidiano, tuttavia non ci nascondevamo
la voglia di vederla dal vivo e l’opportunità per noi di una esperienza notevole.

Rieccomi perciò al computer a progettare questa nuova avventura.


 Nella sua precedente attività lavorativa alla Qatar Airways,
aveva già fatto scalo a Dar es Salam, ed aveva riportato a casa alcuni depliant di alberghi
superstellati, e un CityWeekly che illustrava cosa fare e dove, favoleggiava di posti favolosi
da visitare, ristoranti sopraffini dove mangiare, alberghi lussuosi con Spa dove alloggiare.
Una immagine falsata dalla necessità di attirare un turismo danaroso, ma qualche spunto interessante si poteva trovare: tra tutti Ngoro Ngoro, il parco naturale prossimo al Serengeti,
che la Tanzania condivide con il Kenia, famoso per la migrazione annuale degli gnu e delle zebre
protagonista di tanti documentari naturalistici per l’attraversamento cruento del fiume  Grumeti
infestato di coccodrilli, al seguito delle piogge che fertilizzano le savane e che si spostano da sud
a nord est

Ecco il Safari – parola che in swahili significa Viaggio.
Nella nostra avventura africana doveva esserci per forza un “viaggio nella savana”
per vedere possibilmente nel loro ambiente naturale i  “Big Five” come sono denominati i grandi carnivori africani : leone, leopardo/ghepardo il bisonte  a cui si aggiungono l’elefante e lo “zio Rino.”.

L’altra meta esotica che richiamava alla mente tempi storici mitici e leggendari era Zanzibar:
Aveva avuto l’occasione di trascorrervi qualche giorno e ne era entusiasta.
La Tanzania è uno stato di recente costituzione nato dall’unione del Tanganica e appunto dell’isola di Zanzibar.

Ecco perciò che un viaggio nato come possibile si stava concretizzando a poco a poco attraverso
atti quasi involontari. Per primo la scelta della data che ci doveva da una parte consentire di vedere la grande migrazione – fine giugno – e dall’altra  evitare la stagione delle piogge – fine di maggio con picchi di calore fino a 40° e alti tassi di umidità –– che sarebbe stata micidiale per Tuna.
Poi la scelta del Safari e del tour operator a cui ci saremmo dovuti affidare.
Il web è pieno di siti che vantano il miglior safari ai migliori prezzi, ma questi erano tutti fuori della nostra portata, perlomeno per una visita che non si doveva concludere con una passeggiata allo zoo.
Anche qui la mia bambina , sempre eccezionale, aveva conosciuto un locale che si era offerto per
un preventivo: aveva da poco aperto una sua company e voleva farsi conoscere
Infine, ma era il passo più importante, prenotare i biglietti aerei......

Insomma una preparazione lunga e laboriosa:Man mano che si delineavano le varie opzioni ed i costi proibitivi cercavo di procrastinare la scelta, oppure non scegliere: montava una sensazione di
disagio. C’era si la preoccupazione di una spesa che forse non potevamo sostenere, ma di più,
avevo come un presentimento negativo, l’ansia che il viaggio potesse essere deleterio per la salute di Fortuna, che aveva non poche remore e avrebbe voluto che partissi da solo.

Ma Lei ci chiamava, si offriva di offrici, non potevamo deluderla , e comunque sarebbe rimasto il rimpianto. Non andare era una scelta non ammessa.
E allora via ! La data di partenza sarebbe stata il 31 Maggio, un sabato, con la Egypt Air.
La settimana ad Arusha ed ai parchi nazionali l’avevamo affidata al conoscente di Francesca:
avremmo visitato il Lake Manara, il Tarangire ed infine NgoroNgoro, per la metà della cifra
richiesta dagli altri, ed incluso c’era il volo a Zanzibar che se preso da soli sarebbe costato la metà.
Si era prudenti sull’affidabilità di questa persona, ma non potevamo fare diversamente:
non volevo rinunciare al Saf ari e neanche lei. Bonifico anticipato del 50%.... al buio!
Da Zanzibar saremmo volati a dar Es Salam – dove avevo prenotato un albergo – per visitarla
gli ultimi due giorni e poi back to home! Due settimane intense ci aspettavano

 Ci siamo sottoposti alle vaccinazioni d’obbligo, anticolera compresa ma non la febbre gialla perchè
troppo anziani e quindi a rischio per gli eventuali effetti collaterali. E poi la profilassi per la malaria:
la più temuta. Non c’è vaccino contro la malaria: la profilassi consente di preparare il sistema immunitario a reagire all’eventuale puntura della zanzara anofela. Questa agisce di notte fino all’alba e l’unica prevenzione reale è coprirsi, utilizzare spray alla permetrina, e soprattutto le tendine mentre si dorme.


Comunque, quasi all’improvviso tutto superato, e pronti a partire. Valigie preparate –
 Incredibilmente pronti per la partenza!




giovedì 28 gennaio 2016

Il camino di Santiago - 6° Santiago- FinisTerre - Oviedo - Santander ; 29 e 30 Aprile 1 e 2 Maggio

29 Aprile - Santiago - Finisterre

La notte è trascorsa ristoratrice. Siamo apparentemente soli in questa grande struttura e nessuno sembra
sollecitarci all'uscita. Così ce la prendiamo comoda facendo ...i nostri comodi.
Dopo il timbro canonico, usciamo in una giornata magnifica: sole e frescura. La strada è lastricata, siamo nell'area medievale, e tutto appare lindo.
Dalla altura in cui siamo abbiamo una veduta panoramica sia della campagna a sud che dell'area della cattedrale di fronte; il cielo  pulito e l'aria fresca invita al buonumore, ed è così' che ci avviamo per la ripida discesa verso la città vecchia. Il programma di oggi prevede che io ritorni con il bus a recuperare l'auto,
e Fra continuerà la sua visita alla città. Ci separiamo dopo una colazione non troppo soddisfacente
in uno di questi bar moderni tutto fumo e niente arrosto.

Faccio una bella passeggiata a piedi per raggiungere la stazione degli autobus: ben organizzata e pulita, mi soffermo a pensare al perchè noi non possiamo godere in Italia di simili strutture.
Il mio autobus è pronto sul piazzale ma dell'autista nessuna traccia: come sempre in queste situazioni
sale un pò l'ansia di avere informazioni sbagliate, ma dopo poco un signore burbero accompagnato da alcune vecchiette si avvicina all'autobus. Mi accodo. Paghiamo il biglietto - modesto per la tratta - sul bus: la cassa dell'autista è una scatola di cartone a vista!! Altro che indennità di gestione denaro.
Partenza puntuale. Il tragitto non è particolarmente interessante e neanche i passeggeri, per lo più donne anziane che salgono e scendono dopo brevi tratte, e dopo poco più di un'ora arriviamo nel piazzale di PuertoMarin. La Panda è lì così come ci aveva assicurato la barista.
Ripercorro la strada a ritroso e fa sorridere pensare che la camminata di due o tre giorni, in macchina sia poi così breve.

Arrivo all'appuntamento con Fra che è quasi l'una. Francesca ha assistito alla messa di mezzogiorno: sì proprio quella in cui lanciano il candelabro. E' la messa del Pellegrino e mi racconta dell'esperienza suggestiva e quasi mistica di partecipare al rito insieme a così tante persone oranti e cantanti in una atmosfera resa ancora più "drogata" dall'incenso emesso copiosamente ad ogni oscillazione dall'enorme candelabro
magistralmente manovrato da due gruppi di chierici in tonaca rossa. E' arcinota l'abilità della chiesa di creare situazioni di soggezione al limite della magia: qualcuno riesce a vedere statue piangere o il sangue sciogliersi. Concordo con Francesca sulla singolarità dell'esperienza.

Ma il nostro viaggio, la nostra peregrinazione non finisce qui. Verso le quattro riprendiamo la macchina con destinazione la fine del mondo! Ed infatti, dopo aver lasciato una anonima e trafficata periferia di Santiago, ci proiettiamo verso il mare con il sole di fronte che ci cade addosso grande e luminoso.
E' bellissimo perchè nelle due tre ore del viaggio assistiamo a tutte le trasformazioni di colorazioni che il sole
nel tramontare segna sulle montagne sulle case sui boschi che attraversiamo sul mare all'orizzonte.
La natura sì che è magica! L'aria è fresca ma non fredda e viaggiamo con i finistrini abbassati.
FinisTerrae è proprio così alla lettera: si arriva in uno spiazzo dove c'è il porticciolo, un bar il nostro ostello
ed un alimentari chiuso. C'è anche la fermata del bus. Spenta la magia del sole tutto appare un pò troppo squallido e umidoso: freddo e umido. Anche la receptionist dell'ostello che per qualche motivo, legato al fatto che abbiamo percorso in macchina e non a piedi la strada da Santiago, non vorrebbe farci entrare. Sarebbe un bel guaio perchè lì intorno non c'è altro. Ci costringe ad aspettare fuori una buona mezz'ora, ma poi alla fine entriamo. Questo è un ostello tipo i primi che abbiamo incontrato:letti a castello ammucchiati disposti su più piani, ragazzi pellegrini scapigliati buttati per terra a fumare e chiacchierare fino a tardi, nessuna possibilità di mangiare qualcosa, e perciò ci arrangiamo come solito grazie alla previdenza ed abilità di Fra.  
  
30 Aprile - FinisTerrae . Cabo FisTerre - Ribadero

Da qui il nostro itinerario ripercorre al contrario "Il camino del Norte" quello cioè che percorre la costa
atlantica lungo le regioni della Galizia e delle Asturie: è un percorso aspro e poco servito ma a detta dei pellegrini tra i più spettacolari. Noi purtroppo non avremo la possibilità di verificarne la bellezza perchè la statale che facciamo seppur tra boschi corre quasi sempre all'interno.

La notte non si è dormito molto, e la mattina alle 8 tutti fuori! Siamo sorpresi a vedere l'affannarsi di tutti quei ragazzi che in pochi minuti raccolgono le loro cose e si precipitano fuori, ma lo scopriamo subito una volta all'esterno: sono tutti fuori alla fermata dell'autobus che passerà da lì a pochi minuti e se li porterà via tutti verso Santiago. Dopo tutta quella concitazione siamo di nuovo soli in quella piazza spoglia. E' una giornata uggiosa, ed il mare che respira silenzioso neanche sembra lui. La taverna all'angolo sembra accogliente
e soprattutto calda, e ci precipitiamo dentro per una bella colazione: neanche a dirlo i proprietari sono inglesi
, oppure olandesi, e ci stanno proprio bene in quell'ambiente non certo accogliente. Comunque abbiamo il nostro latte ed il the' caldo e ci attardiamo dentro.
E' comunque sempre molto presto quando decidiamo di dirigerci verso il Cabo Finisterre ennesimo punto estremo del continente europeo.Ma prima di lasciare una passeggiata sulla sabbia scoperta dalla bassa marea con tutta la vita che pulsa sotto: una spiaggia sconfinata che non frena il desiderio di Fra di "toccare l'acqua del mare" e di raccogliere qualche conchiglia più bella di altre!
Anche se la giornata è grigia ed il sole non si vede il posto è bello e selvaggio. Arriviamo al faro a picco sul mare che sbatte sulle rocce un bel po più sotto, all'interno del faro c'è un piccolo museo con foto di mareggiate impressionanti. L'addetto ci racconta un po' di storia: quella che più ci attrae fa riferimento ad un piccolo spiazzo poco più giù nel dirupo verso il mare con una croce celtica in pietra e rocce nere affumicate. Ci racconta il nostromo che lì i peregrini sogliono accendere il fuoco ed aspettare l'alba o il tramonto del sole, novelli sacerdoti del dio.
Ma adesso non c'è sole: il cielo è grigio, il mare è grigio, la roccia è grigia, la nebbiolina che si dirada lentamente ci ha immerso in una atmosfera incantata, fuori dal tempo: noi non possiamo accendere fuochi e allora improvvisiamo movenze di una lotta antica, una danza riparatrice che offriamo agli dei del mare!

Vorremmo restare ancora ma dobbiamo andare......Salutiamo il signore del museo che non manca di segnarci il timbro sulla Compostela e riprendiamo la marcia....in macchina.
Stiamo tagliando all'interno nella provincia di Lugo verso Ribadero: siamo un po' delusi perchè non esiste una strada sulla costa o perlomeno non è agevole, e quella che percorriamo non ha niente di interessante. Ogni tanto incrociamo qualche pellegrino a piedi, ma sono piuttosto rari. Arriviamo al paese nel primo pomeriggio e la pioviggina che ci ha accompagnato finora, ancora non ci lascia.
L'ostello in cui avevamo intenzione di andare è pieno, ed anche se la struttura è moderna inserita in un parco attrezzato sul mare, è meglio così; abbiamo bisogno di dormire come si deve e l'impressione è che il posto sia caotico come quello di Fisterre.
Ripieghiamo perciò per un bel alberghetto al centro della cittadina, caldo e confortevole.

Ribadero è posto alla confluenza di un fiordo che penetra all'interno tra due alte coste frastagliate, unite da un lungo ponte in ferro sospeso sul mare: ci sono avvertenze di pericolo in caso di mareggiate o vento forte ma il ponte è percorribile. Trovarsi sospesi in mezzo a quel mare dà i brividi ed un pò di vertigine: è facile immaginare come ci si possa sentire sferzati dal vento e con le onde alte dell'oceano.
Seguiamo la stradina del parco attrezzato che ci porta ai "mirador" punti panoramici da cui si può apprezzare in sicurezza l'insinuarsi della densa massa d'acqua tra le alte sponde: un castello con una fiorita bouganville
mette alla prova le nostre abilità fotografiche.....dall'altra parte per un sentiero che si percorre a piedi arriviamo ad un costone che sovrasta una ampia spiaggia ed un mare placido.....anche qui le rocce di granito ed il panorama fanno da quinta al servizio fotografico della modella Fran, che come al solito non vorrebbe mai andare via.

1 & 2/3 Maggio - Oviedo - Santander - Roma

Riprendiamo il viaggio in macchina verso Oviedo la capitale del Regno delle Asturie. Il tempo è brutto e piove, la strada tra i boschi è monotona, così ogni tanto facciamo qualche deviazione verso il mare, ma i paesini che incontriamo sono poco attraenti, perlopiù paesi di pescatori con le grosse barche in secca lungo i canali attraccate con lunghe corde alla banchina perchè la marea qui entra per un centinaio di metri....
Superiamo La Coruna nella zona industriale ed arriviamo ad Oviedo sotto l'acqua verso le due.
Troviamo l'ostello il cui gestore avrebbe aperto dopo circa un'ora, come apprendiamo da altri pellegrini.
Ci sistemiamo, le camerate sono a due o quattro letti a castello e noi siamo da soli in una cameretta:
ho paura per il freddo. Usciamo per vedere un po' la città il cui centro storico non dista molto dall'ostello.

Anni prima mi era piaciuta perchè la zona medievale era ancora integra, ma oggi non abbiamo troppe possibilità di passeggiare perchè piove e siamo ormai stanchi, perciò ci rifuggiamo nella cattedrale anch'essa fredda e inospitale.Ho tempo per polemizzare su non so più quale statua o croce e questo disturba la sensibilità di Fra, perciò torniamo immusoniti all'ostello.
Consumiamo la nostra cena insieme ad altri pellegrini - francesi - che disquisivano sulla bellezza del camino del Norte, con qualcuno che l'aveva fatto più volte. Parlavano in inglese, e ciò mi infastidiva: non mi andava di sforzare l'attenzione per seguire i loro discorsi sulla storia napoleonica e della seconda guerra mondiale, anche se sembravano ironizzare in qualche modo sugli italiani.

La notte, come paventavo, era trascorsa movimentata per il freddo. La colazione, inclusa, piuttosto povera
da costringerci a comprare il dolcetto - un bel croissant - fuori. Fra nervosa aveva deciso di voler fare un giro di un'oretta da sola per la città: per fortuna non pioveva. Io avrei aspettato in macchina, con la solita ansia di non vederla tornare per tempo, immaginando chissà quali catastrofi.

Prima di lasciare Oviedo,al suo ritorno, decidiamo di visitare un complesso abbaziale del trecento:
tre chiese romaniche mantenute in ottimo stato posizionate in una radura su una collina boscosa circondate dal verde: molto pittoresco!

Arriviamo a Santander con l'acqua e ci fermiamo sul lungomare: mi sono innervosito perchè non riesco ad ottenere informazioni di dove si trovi l'ostello. Alla fine ci danno la dritta buona e arriviamo: il costo di 5 € a persona è un furto: un centinaio di persone stipate come galline da batteria in uno stanzone, forse un garage.
Non c'è aria tra un letto ed un altro con cattivo odore di zaini sbracati a terra, scarponi sotto il letto ed un puzzo di piscio che viene da tre gabinetti ( e docce) che devono servire per tutti.
Sarebbe da denuncia, se non altro per il livello di igiene infimo e per la totale mancanza di sicurezza e via di fuga! Ma siamo stanchi e non mi va di cercare ancora. Inoltre la gonalgia mi costringe quasi a trascinare la gamba, così la passeggiata per il vialone di Santander con i negozi che stanno chiudendo e l'aria pregna di pioggia, si riduce a pochi isolati.

La cucina dell'ostello è invece quasi decente e c'è chi si diletta a cucinare manicaretti! Fra vuole fare il suo solito giro in solitaria, ed io in ambasce perche alle 22 l'ostello chiude, il gestore se ne va e chi è fuori rimane fuori! Fra ritorna alle 22 meno due secondi!!!!
La notte è uno schifo: una sinfonia prevedibile di russamenti: io con la mia coperta avveneristica che faccio un sacco di rumore; le signore a fianco tutte precisine con le loro cose russano come gendarmi, mi alzo alle quattro per fare pipì e c'è gente sveglia che fuma passeggia va al bagno.Povera umanità!  
La mattina alle sei comincia il va e vieni dei pellegrini in marcia: siamo gli ultimi a lasciare. La macchina è proprio lì di fronte.

Arriviamo in breve all'aereoporto  e consegnamo la Panda: ottima scelta.
Ovviamente ci sequestrano le picche. Imbacuccato come un salame, aspetto il controllo dell'officer di RyanAir per le dimensioni del bagaglio: sono fuori dello stabilito e mi aspetto di dover pagare la fee per imbarcarlo.Fortunatamente è tardi, e danno il via per salire sull'aereo, l'officer termina il controllo proprio con il passaggero davanti a me! Tiro un sospiro di sollievo e saliamo.
A Ciampino c'è Fabrizio!

    




  




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